Testo a fronte: oltre la filologia?

Tradizionalmente connesso a una funzione scolastica e di studio, il testo a fronte manifesta, in epoca di migrazioni globali, nuove potenzialità che possono contribuire a riconfigurare, in senso di scambio sociale e interculturale, il suo consolidato ruolo di strumento filologico.
 
Se digitiamo sul più diffuso motore di ricerca la stringa «testo a fronte», i primi risultati rimandano a una prestigiosa rivista di traduttologia, la disciplina filologica che, nata in ambito poetico e iperletterario, ha tra i suoi maggiori esponenti studiosi, critici, poeti e altri addetti ai lavori della letteratura. La correlazione tra testo a fronte da un lato e letterarietà in senso stretto dall’altro, intesa come alta elaborazione formale istituzionalizzata dalla tradizione, viene confermata anche dal Sistema bibliotecario nazionale: cercando «testo a fronte» nel catalogo online, si ottengono edizioni dei maggiori autori greci e latini, seguiti da Shakespeare, da Goethe, da altri scrittori stabilmente collocati all’interno del canone occidentale (Cervantes, Baudelaire, ma anche Masters e via dicendo) e da qualche poeta dialettale. Del resto è sufficiente una semplice visita in libreria, tra gli scaffali dei classici e della poesia, per avvertire la prevalente funzione filologico-letteraria, un po’ arcicolta un po’ museale, delle edizioni con testo a fronte, nicchia editoriale di prestigio riservata a lettori per lo più professionisti, tecnicamente agguerriti e interessati all’acquisto per motivi di studio o di raffinato piacere intellettuale.
Una nobilissima funzione, beninteso, che però come tale elegge il suo destinatario sceltissimo all’interno di un pubblico linguisticamente già preparato e umanisticamente predisposto: studente del liceo, il filologo e il linguista e, forse soprattutto, il lettore di poesia (che tutti li ricomprende), al quale il testo a fronte offre simultaneamente le eufonie del testo originario e le sottigliezze della traduzione d’autore, entrambe da delibare con perizia. Proprio la poesia sembra, nel nostro panorama editoriale, il campo privilegiato in cui il testo a fronte giunge a toccare, al di là dei classici già consacrati, la viva contemporaneità: nel caso delle edizioni Adelphi di Walcott e Szymborska, o delle edizioni Einaudi di Larkin (giusto per fare dei nomi noti, sia di poeti sia di editori) il testo a fronte, né più né meno come per i classici Garzanti o Rizzoli, risulta, anche nei confronti della contemporaneità, funzionale a una lettura letterata piuttosto che glottodidattica del testo. La glottodidattica peraltro, declinata sul versante applicato delle lingue contemporanee e d’uso vivo, manifesta nell’ultimo secolo (e soprattutto dal dopoguerra) un atteggiamento ostile nei confronti della traduzione: avversata dalle egemoni scuole pedagogiche che si richiamano al metodo cosiddetto diretto, secondo cui l’immersione senza mediazioni nella lingua obiettivo intende portare a un automatismo produttivo che prescinda completamente dalla traduzione, quest’ultima viene solo recentemente rivalutata ma con moderazione, e non come pratica in sé funzionale, bensì come atteggiamento integrato a pratiche didattiche d’altro genere, alle quali può fungere semmai da supporto.
Questa situazione, nella quale la traduzione può forse essere un fine, ma quasi mai è un mezzo, contribuisce a spiegare, peraltro, la pressoché totale inesistenza di collane di letture in italiano L2 con testo a fronte: gli editori leader della didattica dell’italiano per stranieri, come Loescher di Torino e Alma edizioni di Firenze, affermano che una collana di letture con testo a fronte, indirizzate all’utenza straniera a scopo glottodidattico, non troverebbe un gran mercato, vuoi per l’impostazione prevalente tra gli insegnanti di italiano L2 – i quali, come si diceva, sono per lo più poco favorevoli a incentivare un atteggiamento traduttivo all’atto dell’apprendimento – vuoi, soprattutto, per una questione più schiettamente commerciale. Rispetto a una lettura italiana con testo a fronte, in cui la presenza dello spagnolo, del cinese, dell’arabo e così via circoscrive il possibile acquirente entro uno specifico gruppo di parlanti, di volta in volta spagnoli, cinesi, arabi e via discorrendo, appare infatti più redditizia la pubblicazione di una lettura monolingue, tutta in italiano anche se opportunamente semplificato e graduato al livello linguistico dello studente: la pubblicazione offre infatti un profilo economicamente più appetibile se il volume risulta potenzialmente acquistabile da parte di qualunque discente, selezionato solo in base al livello linguistico padroneggiato e indipendentemente dalla sua lingua e cultura di provenienza.
Lingua e cultura di provenienza, si diceva. Ed è proprio l’aspetto culturale, e precisamente interculturale, che ci porta a valutare un’utilizzabilità del testo a fronte messa in risalto da due poco noti progetti editoriali, meritevoli della nostra attenzione. In anni in cui la migrazione ha assunto la dimensione di un fenomeno globale, e dove gli scambi interculturali sono ormai parte integrante della quotidianità non solo metropolitana, il testo a fronte sembra capace di assumere, al di là dei consueti usi scolastici e filologici, un peculiare ruolo nel processo di scambio e di accoglienza tra le diverse realtà culturali compresenti sul territorio. Lo dimostra il caso di due piccoli editori di Roma e di Milano: nella seconda metà degli anni novanta, quando la coscienza nazionale comincia a percepire come fenomeno stabilmente in crescita la presenza straniera, Sinnos a Roma e Carthusia a Milano istituiscono, parallelamente, le loro collane I mappamondi e Storiesconfinate.
Perché, benché rientrino formalmente nella tipologia del testo a fronte, siamo al cospetto di due progetti atipici? In primo luogo, anche se si tratta di libri molto diversi tra loro per concezione e realizzazione, I mappamondi e Storiesconfinate hanno in comune la proposta di testi in prosa, declinata nei diversi generi della fiaba, del racconto (autobiografico o d’invenzione), del romanzo breve. Gli aspetti linguistico-formali, che assumono valore preponderante nella lettura poetica, passano dunque in secondo piano a vantaggio di una fruizione pienamente orientata alla godibilità immaginativa, nel segno di una piena leggibilità. Ma non basta, perché la proposta linguistica, in entrambe le collane, accoglie idiomi contemporanei non direttamente riconducibili alla nobilitazione di una riconosciuta (da noi, beninteso) tradizione letteraria: solo per restare nel caso dell’arabo, infatti, le due collane distinguono l’arabo egiziano dal marocchino e dal palestinese, segnalando così un interesse tutto proteso ai valori di comunicazione e testimonianza, nonché alle reali possibilità di contatto e scambio interculturale offerte dal testo a fronte. Ci sono poi testi in tagalog, tigrino, dari – il persiano dell’Afghanistan – cingalese, romanes – la lingua rom, distinta dal romeno che, peraltro, è presente anch’esso, oltre ai più consueti e prevedibili albanese, russo, spagnolo, portoghese. In entrambe le collane, inoltre, la lingua straniera viene collocata in posizione nobile, a destra – a meno che, come nel caso dei testi in arabo, la direzione di lettura non avvenga nel verso opposto – e, soprattutto nel caso di Storiesconfìnate di Carthusia, l’apporto grafico-illustrativo, molto presente anche nei Mappamondi, non è riducibile a pura decorazione, ma si integra nel progetto editoriale al punto da diventare una sorta di terzo testo che affianca l’italiano e la lingua straniera di volta in volta prescelta.
E ciò ci rimanda direttamente all’interlocutore ipotizzato: non si vuole proporre un sussidio scolastico, glottodidattico o grammaticale che si voglia, bensì, dimessa la funzione schiettamente umanistica e di studio, il testo esibisce una funzione di scambio socioculturale in senso pieno. Con le parole di Patrizia Zerbi, direttore editoriale di Carthusia, «con Storiesconfinate siamo di fronte a un libro-ponte, che può costituire un valido sussidio per un processo di integrazione che non si riduca all’assimilazione». Sia Patrizia Zerbi sia Della Passarelli, direttore editoriale di Sinnos, hanno infatti immaginato i loro progetti come rivolti a giovani e giovanissimi, un pubblico scolastico di bambini (più Carthusia) e adolescenti (più Sinnos), non necessariamente di esclusiva origine straniera: i testi pubblicati, che riguardano, nel caso di Sinnos, narrazioni di autori di prima generazione e, nel caso di Carthusia, fiabe tradizionali raccolte in laboratori interculturali e di narrazione con i migranti, vogliono proporsi al lettore straniero come sussidio di riconoscimento identitario, e al lettore italiano come luogo di familiarizzazione con la diversità culturale dei cittadini con cui è in giornaliero contatto.
Si tratta di un pubblico, però, in rapida evoluzione, e in costante cambiamento, come è velocemente mutata la tipologia migratoria negli ultimi anni. Se infatti alla metà degli anni novanta, come ricorda Della Passarelli, l’Italia si presentava come desiderabile meta, consapevolmente perseguita da una migrazione allora desiderosa di rapida integrazione e di radicamento stabile, negli ultimi anni le mutate condizioni economiche hanno prodotto il declassamento della Penisola da luogo d’arrivo a zona di transito dei flussi migratori. Gli effetti, anche editoriali, si sono visti nel ridotto sviluppo della letteratura dei migranti, per cui un fenomeno vistoso come il caso Pap Khouma rimane, a tutt’oggi, una rarità. Ciò forse contribuisce a spiegare – insieme all’ambiguità delle istituzioni e della politica verso l’integrazione, ma questo discorso ci porterebbe molto lontano dal testo a fronte – la crisi dei Mappamondi che, al momento, vedono sospesa la pubblicazione di nuovi titoli.
Nello stesso tempo, però, ed è Patrizia Zerbi a osservarlo, le seconde e terze generazioni sono ormai una realtà consolidata: moltissimi giovani, perfettamente italofoni e culturalmente italiani a tutti gli effetti, attestano un’istanza di identità in termini differenti da quelli espressi negli anni novanta. Se allora l’italiano era un punto d’arrivo, oggi l’esigenza è spesso il recupero della lingua della famiglia in direzione identitaria. In questo modo il testo a fronte può presentarsi, ai nuovi italiani, come corrispettivo editoriale della loro peculiare ricchezza culturale. Così concepito, allora, il testo a fronte si riconfigura oggi come mezzo di riconoscimento e di confronto culturale nonché come luogo di integrazione senza rimozione.
Ma al di là delle speculazioni, come possiamo verificare la vitalità del testo a fronte, nei termini prospettati sopra? Il Sistema bibliotecario milanese, nella persona di Federica Tassara, ha rilevato manualmente la movimentazione dei titoli di Carthusia e Sinnos posseduti dalla Biblioteca cittadina, per gli ultimi cinque anni. Ne risulta un quadro piuttosto interessante: vediamolo.
In primo luogo il numero di prestiti: si tratta di oltre 200 movimentazioni, come a dire oltre 40 richieste all’anno. Il che significa più o meno una richiesta ogni nove giorni: per libri che presentano testi in arabo, o in tigrino, o in cingalese, e si rivolgono a un pubblico di giovani e giovanissimi, il dato sembra una notevole manifestazione di vivacità dei titoli. In secondo luogo, la provenienza dei lettori risulta quasi equamente ripartita tra italiani e stranieri, con una lieve prevalenza dell’utente straniero (un abbondante 51%) sugli italiani (uno scarso 49% ): se le ragioni che portano gli stranieri al testo a fronte possono essere diverse, ed è difficile capire dal puro dato numerico se prevale il desiderio di leggere la propria lingua madre o di familiarizzare con il testo italiano, sembra invece chiaro che i prestiti da parte degli italiani siano determinati da una curiosità, più che linguistica, eminentemente culturale. Il che viene confermato dalle lingue maggiormente consultate, le quali corrispondono alle culture straniere che, per motivi diversi, vengono percepite come principalmente presenti sul territorio, a prescindere dalla reale consistenza numerica delle relative comunità. Gli italiani infatti, in ordine decrescente, richiedono arabo (nelle diverse varietà parlate), albanese, cinese, spagnolo, tagalog, collocando così i filippini, che sono la prima comunità straniera in termini numerici, in una posizione più bassa. Se invece guardiamo le lingue maggiormente consultate dagli stranieri, l’ordine risulta leggermente differente: sempre l’arabo al primo posto, ma seguito dal tigrino, poi l’albanese, il tagalog e il cinese.
Non è facile interpretare questa discrepanza, che non si correla direttamente alla presenza numerica delle comunità sul territorio. Pertanto, più che azzardare ipotesi di lettura, sembra opportuno segnalare un microfenomeno molto curioso, che può gettare una luce nuova sul vecchio testo a fronte: tra i prestiti a stranieri, sorprendentemente, ne risultano alcuni effettuati da utenti di nazionalità terza, estranea alla lingua del testo erogato: almeno un lettore cinese, nei cinque anni trascorsi, ha preso in prestito un libro italiano/arabo. Ma il fenomeno riguarda anche alcuni utenti filippini, che hanno consultato libri in tigrino, o un cittadino latinoamericano, che prende in prestito un testo in arabo. Che vuol dire?
Mi pare sensato ipotizzare che il lettore, poniamo filippino, che vuole leggere una fiaba in tigrino passando per l’italiano, sia un giovane di seconda o terza generazione, che legge l’italiano senza problemi. Per lui, allora, o per lei – si sa che le ragazze leggono più dei loro coetanei maschi – il testo a fronte apre la strada a una cultura diversa dalla sua d’origine, e dalla sua d’adozione sempre che questa distinzione abbia un minimo senso. Il testo a fronte, così, rinnova la sua ragion d’essere luogo di contatto tra culture: forse, tra qualche lustro, ne dovremo riparlare.
 
Si ringraziano Della Passarelli di Sinnos Editrice, Roma
Federica Tassara del Sistema bibliotecario milanese Patrizia Zerbi di Carthusia Edizioni, Milano