La scolastica nei guai

Il mercato del libro scolastico negli anni novanta mostra tassi di crescita progressivamente inferiori rispetto al decennio precedente. La causa principale è il calo delle nascite, e quindi della popolazione scolastica. Ma bisogna tener conto anche della crescita del mercato dell’usato, del commercio delle copie saggio e della diffusione della fotocopiatura. Intanto, il ministero della Pubblica Istruzione ha elaborato un Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche che punta sulla realizzazione delle «mediateche» di istituto. Mentre continua a mancare un sistema organico di biblioteche scolastiche.
 
Nel 1995 le vendite a prezzo di copertina dei libri di testo erano state stimate in 761 miliardi, con un incremento, rispetto all’anno prima, di appena 1’1,2%. Le stime che si hanno per il 1996, benché superiori all’anno precedente (più 1, 8%), sono ancora modeste e comunque inferiori allo stesso tasso d’inflazione.
Più della metà di questo mercato – il 56,8% pari a 432 miliardi di lire nel 1995 – è rappresentato dai libri per le scuole superiori come indica la tabella l . Un segmento che è l’unico a essere in crescita e ad aumentare la sua quota di mercato: era di 413 miliardi nel 1993, sale a 421 nel 1994 (più 1,9%) e supera i 430 nel 1995 (più 2,6% ). Ma si tratta di una crescita che riesce solo parzialmente a contenere la contrazione che gli altri due segmenti fanno registrare nello stesso arco di anni: quello delle scuole elementari passa da 63 a 60 miliardi (meno 4,8%), quello delle medie inferiori da 272 a 269 (meno 1,1 %).
Le ragioni per spiegare questo nuovo scenario sono diverse (per i dati più generali rimando a Peresson, Cifre dell’editoria 1997, Editrice Bibliografica, 1997, pp. 13-18, pp. 329-338). Innanzitutto il calo della natalità che di fatto ha ridotto la popolazione scolastica di partenza: tra il 1980 e il 1995 gli alunni delle elementari si riducono di 1,6 milioni di unità (meno 36, 6%); nelle medie inferiori di poco meno di un milione (meno 31,2%).

Nelle stesse scuole superiori, dove almeno fino all’anno scolastico 1990/1991 vedevamo aumentare la popolazione scolastica, a partire da quella data comincia a far sentire i suoi effetti il decremento della natalità che aveva già investito i due cicli scolastici precedenti. A questo fenomeno strutturale si aggiunge poi la crescita del mercato dell’usato scolastico. Nel 1994 l’Associazione Italiana Editori aveva stimato in 380 miliardi a prezzo di copertina del nuovo il fenomeno del riuso scolastico, che nel 1996 aveva raggiunto i 390 miliardi (più 2,7%).
Un elemento importante per comprendere le dinamiche di scenario – dalla spesa delle famiglie alle caratteristiche stesse del sistema-prodotto, molto diverso in Italia da quello di altri paesi europei – è dato dall’assenza in Italia di un organico sistema di biblioteche scolastiche. Già il fatto che l’ultima indagine conoscitiva curata dal ministero della Pubblica Istruzione risalga al 1981 rappresenta un indicatore della sostanziale trascuratezza con cui si è guardato a questa circostanza. All’interno del Piano nazionale di educazione alla lettura avviato nel 1995 dal ministero della Pubblica Istruzione (Circ. 105/27 marzo 1995) era prevista con la «Fase l» una rilevazione delle attività di promozione della lettura in corso, e di alcuni dati strutturali sulla consistenza del patrimonio bibliotecario della scuola: non ci risulta che si sia ancora provveduto all’ esame dei questionari raccolti. Ricordiamo, infine, che non è prevista nell’ordinamento attuale la figura del «bibliotecario scolastico», cioè un soggetto in possesso di strumenti professionali specifici per la gestione e l’incremento delle collezioni, interlocutore indispensabile con le altre professionalità.
I pochi dati disponibili sono comunque sufficienti a tracciare un quadro non certo positivo (se si escludono alcune iniziative legate a situazioni particolari). Per esempio sappiamo che il patrimonio delle biblioteche delle scuole elementari di Roma (il dato è aggiornato al l 994) è molto esiguo: in media 710 libri per scuola, 54 per classe e 2,9 per alunno. Molte delle dotazioni risalgono a vari anni addietro: solo il 26,9% è stato acquistato negli ultimi dieci anni così che i libri nuovi (se possiamo considerare «nuovi» quelli con meno di dieci anni di età) sono 236 per scuola, 17,5 per classe, 0,9 per alunno. Nel 1993 nei 158 circoli didattici della capitale si erano resi disponibili l ,2 miliardi di lire per acquisto di «sussidi didattici», ma di questa cifra soltanto 83 milioni sono stati destinati all’acquisto di libri, pari a circa mille lire per alunno (Morozzo, Scuola e biblioteca un binomio difficile, «Giornale della Libreria», 1996, 6, pp. 16-25). Un’altra indagine, condotta dall’associazione Giralibro sui questionari compilati dagli insegnanti delle scuole, aveva già messo in risalto strutture e patrimoni librari tutt’altro che idonei a sviluppare qualunque progetto di promozione della lettura non scolastica nella scuola, dato che appena il 2 % delle 800 scuole medie inferiori che avevano partecipato all’iniziativa nell’anno scolastico 1994-1995 dichiaravano di aver acquistato più di 51 volumi per la loro biblioteca.
La ridotta dimensione che presentano le biblioteche scolastiche genera effetti distorcenti sullo sviluppo di un rapporto continuativo e stabile con il libro: «Non esistendo biblioteche scolastiche la tendenza [di molte scuole elementari e medie inferiori] è quella di costruire le biblioteche di classe. Non è che la cosa sia controproducente, ma quando una biblioteca di classe ha l 00 volumi la dobbiamo considerare come un fior di biblioteca. In genere vedo che la media si aggira sui 40-50 volumi. Ma questo riduce notevolmente la libertà di scelta da parte del bambino cioè la sua possibilità di trovare i libri e le storie che gli piace leggere. Ne troverà uno, due. Ma in questo modo non si crea uno stabile e continuo rapporto con il libro e la lettura (Denti, intervista a, I bambini in libreria. E gli insegnanti?, «Giornale della Libreria», 1996, 7-8, pp. 6-8). D’altro canto l’assenza di biblioteche, cioè di strumenti didattici a disposizione dell’alunno e/o dell’insegnante, costringe a loro volta gli editori a pensare e a realizzare libri di testo che devono (anche) svolgere una funzione di supplenza nei confronti di biblioteche scolastiche inefficienti e mal funzionanti, che non rappresentano luoghi in cui lo studente può compiere le sue letture integrative, o l’insegnante aggiornare la sua professionalità, sviluppare esperienze didattiche, ecc. Non a caso la produzione scolastica degli editori italiani risulta qualitativamente elevata rispetto a quella degli altri editori europei: ma è una caratteristica indispensabile per svolgere quella funzione di supplenza, di strumentazione e di aggiornamento metodologico e didattico altrimenti difficilmente praticabile.
Questo, per somme linee, il quadro che valeva fino a pochi mesi fa, quando vi si sono aggiunti due nuovi elementi: il progetto di Riordino dei cicli scolastici presentato da Luigi Berlinguer (gennaio 1997) che investe tutto il sistema di istruzione del paese, e il Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche nel periodo 1997-2000 messo a punto dal Comitato di coordinamento per lo sviluppo della multimedialità nella scuola (febbraio 1997). Gli effetti di questi due progetti governativi riguarderanno certamente le case editrici del settore, l’innovazione dei sistemi di prodotto, l’organizzazione interna del lavoro, la formazione e l’aggiornamento professionale del personale delle case editrici, i piani di investimento, e gli stessi assetti proprietari, ma toccheranno – in una misura che non è ancora possibile definire – anche le librerie che trattano il libro scolastico.
In sostanza il quadro che si presentava agli editori e ai librai fino a non più di qualche mese fa era quello di un vissuto del consumatore finale negativo, con un atteggiamento di studenti e famiglie che non attribuiva ai libri di testo un valore proporzionato al ruolo che in realtà avevano ed hanno; una sensibile contrazione della domanda a causa del calo della popolazione scolastica; la crescita del mercato dell’usato e in alcune zone del paese (per la verità sempre più ampie); il commercio delle copie saggio; la fotocopiatura abusiva. Questo scenario però si sta rapidamente trasformando lungo direzioni oggi ancora difficilmente decifrabili.
Il progetto di riordino – che a sua volta si trova inserito nel complesso di altre riforme in discussione: il graduale passaggio all’ autonomia organizzativa e didattica degli istituti scolastici, la riforma degli organi collegiali (per i quali sono stati presentati numerosi disegni di legge), il sistema nazionale di valutazione (Direttiva del ministero della Pubblica Istruzione, n. 307 del 21 maggio) ecc. – mira a una rimodellazione dei cicli scolastici commisurata ai bisogni e ai mutamenti sociali e culturali avvenuti in questi anni. Prevede un ciclo prescolare di tre anni; un ciclo di scuola di base di sette anni (da 5 a 12 anni) di cui il primo anno non alfabetizzante; un ciclo di scuola secondaria suddiviso in un ciclo di orientamento di tre anni (12-15 anni), e un triennio di scuola superiore dai 15 ai 18 anni. Per il postobbligo nella scuola superiore sono previsti tre sbocchi: licei, licei tecnici, formazione professionale. Per quel che riguarda gli indirizzi dell’attuale triennio superiore, dai cento attuali si passerà a dieci. Gli effetti sull’attuale sistema sono evidenti: anzitutto la scomparsa della scuola media inferiore, il cui smembramento andrà in parte assorbito dalla scuola elementare e in parte dalle superiori. Ai 13 anni, tra obbligo e post-obbligo della scuola attuale, si sostituiscono 12 anni, con alcune conseguenze rilevanti, come la riduzione della base scolastica (recuperata forse attraverso la riduzione delle dispersioni) e una previsione di espansione della fase post-diploma.
Inoltre il Riordino dei cicli scolastici prevede che al libro di testo scolastico sia aggiunta una dotazione informatica alle scuole, con possibile creazione di aule multimediali e trasmissione in rete di materiali didattici, in connessione al già citato Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche nel periodo 1997-2000.
Un discorso a parte va fatto sulla libreria, che rappresenta l’unico canale attraverso il quale le famiglie e gli studenti acquistano i libri di testo soggetti ad adozione. Si stima che i punti vendita trattanti siano circa 9.750, anche se non più di 700 sono quelli in grado di servire i clienti per tutto l’anno. Soprattutto la vendita dei libri scolastici contribuisce in misura consistente all’economia complessiva del canale: ogni cento lire spese dal pubblico in libreria per l’ acquisto di libri, circa quaranta servono per acquistare libri di testo. A questa cifra dovremmo aggiungerne poi almeno altre tre-quattrocento per l’acquisto di libri parascolastici (atlanti, dizionari, narrativa per la scuola, ecc.) e sussidi didattici. Anche se, per i fenomeni che si sono ricordati, la quota di spesa delle famiglie destinata all’acquisto di libri scolastici nuovi è andata in questi anni calando: nel 1990 l’acquisto di libri scolastici in libreria contribuiva all’economia complessiva del canale per il 44,8%; nel 1996 la quota è scesa al 40,9%, ma solo l’anno prima era il 41,4%.
La vendita di libri scolastici ha rappresentato e rappresenta per molte librerie un significativo reddito integrativo e ha consentito a molti punti vendita di piccole e medie dimensioni, ubicati in città di provincia o in zone periferiche dei grandi centri urbani, di mantenere un loro assortimento di varia, continuando a erogare un servizio di prossimità alla clientela, pur in presenza di una domanda locale esigua o insufficiente sul libro di varia. Il libraio ha sulla scolastica, per come è organizzato il meccanismo delle adozioni, minori rischi di assortimento e una rotazione più alta rispetto all’editoria di varia: il che rende la scolastica, pur in presenza di margini più bassi, più redditizia della varia.
Il meccanismo delle adozioni, così come è congegnato, riduce di fatto il rischio nella costruzione dell’assortimento da parte della libreria (la scelta viene compiuta dagli insegnanti e a essa le famiglie degli studenti devono attenersi), !imitandolo solo alla dimensione dello stock (numero di libri per titolo) peraltro sempre più influenzato da variabili, come il riuso scolastico e la concorrenza sleale che alcuni operatori fanno raccogliendo e commercializzando le copie saggio distribuite agli insegnanti dalle case editrici. La libreria in sostanza svolge sul libro scolastico un servizio logistico di approvvigionamento dei libri di testo scelti da altri (insegnanti) rispetto agli utilizzatori finali (studenti), e la competizione con altre librerie che trattano la scolastica avviene più facendo leva sulla rapidità di erogazione del servizio (riduzione delle code, ecc.) che non sulla costruzione dell’assortimento.
Nei prossimi anni è probabile che questo quadro subirà un’evoluzione a causa degli effetti congiunti che abbiamo ricordato: avvio della riforma dei cicli scolastici, autonomia scolastica, sviluppo di servizi didattici on-line, ecc. Molte piccole o medie librerie o cartolibrerie che con la vendita, tra settembre e novembre, di libri adottati potevano assicurarsi quel reddito integrativo che consentiva loro di operare nei mesi successivi si troveranno di fronte a uno scenario radicalmente mutato:

  • Gli editori tenderanno a ridurre i margini di sconto alle librerie per finanziare il rinnovamento del loro catalogo imposto dalla riforma dei cicli scolastici, o ad aumentare una serie di costi commerciali (porto e imballo, ecc.).
  • Per gli istituti, l’autonomia scolastica significherà sviluppo di forme di concorrenza tra scuole nell’acquisire nuovi studenti, in un quadro di «crescita zero» della natalità. Probabilmente uno dei tanti fattori di concorrenza che spingerà le famiglie a scegliere un determinato istituto per l’iscrizione dei figli a scuola sarà rappresentato dall’offerta di forme di prestito d’uso sui libri scolastici, con l’effetto di ridurre l’acquisto e la spesa da parte delle famiglie.

La riforma dei cicli scolastici avrà tra i suoi effetti la scomparsa della scuola media unica, con il suo corredo di libri di testo, che si troverà smembrata in parte verso la scuola di base (ma con un corredo di libri prevedibilmente simile a quello delle elementari), in parte verso il ciclo di orientamento.
Inoltre la libreria, almeno in alcune zone, inizierà a risentire non più solo della concorrenza che le proviene dalla vendita di parascolastica nella grande distribuzione, ma anche dalla vendita dello scolastico «puro», come è stato nel 1996 con l’ipermercato Auchan all’immediata periferia di Torino, e nel 1994 con Panorama di Settimo Milanese. Le possibilità di sviluppo di questo tipo di assortimento all’interno della grande distribuzione – che però richiede spazi adeguati, e necessita di know-how organizzativo e logistico notevole – sembrerebbe connessa alla capacità dell’ipermercato di sviluppare un forte orientamento al servizio verso la clientela (a condizione di una spesa minima di almeno 400 mila lire): prenotazione (dato che l’esposizione a self service comporterebbe esposizioni di dimensioni non gestibili), sconto (ma limitato al 10%; per la varia si arriva al 30-40%), piano di pagamento in sei rate senza interessi; consegna dei testi ordinati entro due giorni.
L’altra novità sarà rappresentata dagli effetti del già citato Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche nel periodo 19972000. Ricordiamo che scorrendo la Risoluzione sulle società dell’informazione, la cultura e L’istruzione votata di recente dal Parlamento europeo è evidente quale sarà nei prossimi anni l’orientamento dei paesi europei in direzione della didattica su supporto digitale, che rappresenterà sul breve-medio periodo una tendenza lungo cui organizzare nuove linee d’offerta e nuovi tipi di servizio: un insieme molto articolato di prodotti (hardware, reti, software didattico, prodotti multimediali a contenuto didattico) e servizi (attività di formazione e aggiornamento) a cui le imprese europee saranno tra breve chiamate a pensare. In qualche modo, a quelli che fino a ieri erano i tradizionali strumenti dei governi nazionali di intervento nel settore editoriale librario, influenzando il grado di concorrenza fra le imprese – quote di possesso, regolamentazione della distribuzione e del prezzo, forme di sostegno e sovvenzione – se ne sta aggiungendo uno nuovo in materia di orientamento delle tecnologie di distribuzione dei contenuti. Oltre al fatto, ormai evidente, che ai governi nazionali come fattori di orientamento della concorrenza si affiancano con un ruolo di crescente importanza gli organismi comunitari.
Il Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche presentato nei mesi scorsi dal ministero della Pubblica Istruzione, pur con i limiti evidenti che vedremo, prevede tre tipi di progetti.
Il primo rivolto alla generalità delle scuole, con l’obiettivo di raggiungere almeno 15 mila scuole in tre anni e una previsione di spesa di circa mille miliardi. Per ogni intervento è previsto l’acquisto di attrezzature, formazione di insegnanti e spese di funzionamento. Le attrezzature da acquistare sono indicate in «uno o due computer multimediali» (anche se sarebbe stato più opportuno individuare degli standard alunni l macchine l tipo di scuola, e prevedere un’indagine sul parco macchine installato), «un collegamento a fornitore di servizi telematici»; «almeno un sistema di cattura di immagini da testi e/o da fonti televisive»; «una medioteca». Il secondo consiste in «progetti speciali finalizzati» che dovrebbero partire contestualmente ai precedenti. n primo di essi riguarda l’insegnamento della lingua straniera nella scuola elementare e prevede il coinvolgimento di un terzo delle scuole con una spesa aggiuntiva di 13,6 miliardi nel triennio, di cui 10 per il progetto «lingue straniere nelle scuole elementari». n terzo, infine, prevede alcuni limitati progetti pilota per la sperimentazione in poche scuole di «soluzioni tecnologiche, didattiche, organizzative diverse e più avanzate» (3 miliardi). Altri 3 miliardi l’anno sono previsti come spese per la gestione e il supporto generale ai progetti.
Se tra l’europea Risoluzione sulle società dell’informazione, la cultura e l’istruzione e il Programma del ministero della Pubblica Istruzione è comune l’indicazione sul ruolo centrale che le tecnologie multimediali avranno nella didattica e nella formazione professionale nei prossimi anni, gli approcci sono molto diversi. Nel Programma italiano la multimedialità viene vista in primo luogo come un problema di macchine (al cui acquisto viene riservato il 79% della spesa complessiva), temperato solo con la necessità di prevedere spese per i collegamenti Internet ( 17% ) e in parte con l’aggiornamento degli insegnanti (5%). Nel documento viene prevista sì la realizzazione di una «medioteca» ma al momento delle previsioni economiche non vi è alcuna indicazione sulle spese di acquisto di prodotti l servizi didattici su supporti multimediali, o di software, mentre ci si ricorda di prevedere la spesa per l’acquisto di «sistemi di cattura di immagini da testi e/o da fonti televisive», cioè per riprodurre illegalmente contenuti non di proprietà delle scuole.
Tant’è che nella successiva circolare (n. 364, n. 1158, giugno 1997) si spiega l’uso di alcune tecnologie come possibilità di prelevare contenuti (da libri, periodici, CD-ROM, videocassette, trasmissioni via etere) tutelati dalle leggi e convenzioni internazionali sul diritto d’autore per realizzare in questo modo prodotti didattici che diventerebbero «propri» della scuola. Leggiamo così che «lo scanner (. .. ) consente (. .. ) di leggere pagine e quindi di acquisire testi e immagini trasformandoli in file che possono essere poi manipolati all’interno della [stazione di lavoro multimediale] e incorporati nei propri prodotti» (p. 2, Ali. B, Standard di scelta e organizzazione delle attrezzature multimediali); «il videoregistratore (. .. ) può anche essere connesso alla [stazione di lavoro multimediale] per trasferir[ vi] immagini dalle videocassette» (p. 3, Ali. B.); «l’antenna parabolica può essere utile per catturare trasmissioni in lingua straniera. Il segnale di antenna può essere introdotto direttamente nella [stazione di lavoro multimediale] » (p. 3, Ali. B). Al software vengono dedicate otto righe per indicare che le stazioni di lavoro multimediale ne «devono essere corredate»; ma solo una riga (l’ultima) fa riferimento al software «didattico per l’insegnamento delle diverse discipline curriculari» (Cap. 2, dell’Ali. B).
Nella successiva circolare (425, luglio 1997) che affronta l’Organizzazione dell’aggiornamento e dell’assistenza, collaborazione fra scuole, tra gli argomenti di aggiornamento degli insegnanti alla multimedialità non viene assolutamente previsto nessun argomento che abbia a che fare con la proprietà intellettuale e la tutela del di ritto d’autore in ambiente multimediale. E i finanziamenti sono finalizzati a creare «familiarità» con «gli strumenti multimediali e telematici» (si veda Ipotesi di modello di formazione. Progetto 1a), mentre «resta fermo l’impegno da parte del ministero, a procedere gradualmente alla promozione dello sviluppo di materiali, che saranno resi disponibili sia su CD-ROM, sia in rete, in modo da rendere possibile un maggior ruolo di autoaggiornamento» (p. 6).
Uno scenario che pone almeno due tipi di domande. È possibile pensare di «elevare la qualità dei processi formativi attraverso l’uso generalizzato delle tecniche e delle tecnologie multimediali» (come sintetizza la lettera di accompagnamento alla circolare 364 del giugno 1997 Programma di sviluppo delle tecnologie didattiche 1997-2000), quando nella scuola non ci sono né biblioteche né bibliotecari scolastici, né sono previsti investimenti in questa direzione? Cosa succederà all’insegnante o al preside se la Guardia di Finanza ispezionando la «medioteca» di una scuola troverà materiali didattici multimediali realizzati prelevando immagini e testi, per esempio, da Encarta della Microsoft?