La tradizione degli economici, intervista a Evaldo Violo

La nuova BUR nata nel 1974 per iniziativa di Mario Spagnol e sotto la direzione di Evaldo Violo, presenta oggi ai lettori circa 2 mila titoli e, a dimostrazione della vitalità del catalogo, 700 ristampe 0-4 mila copie di media) all’anno. Il 50% circa dell’offerta è costituito da libri di narrativa,- saggistica e manualistica si suddividono l’altra metà. Fra i best seller nella narrativa, innanzitutto li gabbiano Jonathan Livingstone di Richard Bach (2 milioni), poi Penelope alla guerra di Oriana Fallaci (350 mila) e vari libri attestati fra le 200 mila e le l 00 mila copie, come La collina dei conigli di Richard Adams, i romanzi arturiani di Mary Stewart, o La lunga vita di Marianna Ucrìa di Dacia Maraini. Numerosi i long seller fra i classici: dalle 130 mila copie delle Confessioni di Sant’Agostino alle 80 mila del De bello gallico di Cesare, alle 70 mila del De rerum natura di Lucrezio cui si aggiunge un’altra decina di testi, fra le 60 mila e le 50 mila. Cospicui anche i risultati della saggistica: Dal big bang ai buchi neri di Stephen Hawking (130 mila copie), Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Christiane F (200 mila), ma anche La storia della follia nell’età classica di Foucault (50 mila). Meno numerosi i titoli della manualistica ma non pochi i fortunati: dal best seller di Wayne W. Dyer, Le vostre zone erronee (200 mila copie) al lento e silenzioso successo di Howard Shanet, Come imparare a leggere la musica (80 mila dal 1975).
 
A un venticinquennio circa dalla nascita della nuova BUR, in un mercato del tascabile sempre più vasto e labirintico, dove semplici collane sono diventate vere e proprie case editrici, quale è la specificità dei tascabili Rizzoli?
La specificità della nuova BUR è nel suo legame con la prima BUR, nella forte tradizione dei «classici» (antichi, moderni, contemporanei, da Omero a Kafka). Malgrado il lavoro di venticinque anni, i lettori più anziani mi parlano sempre della BUR di un tempo, perché quella BUR ha svolto una funzione enorme: si è imposta come la prima collana tascabile italiana che offrisse edizioni complete di classici, in buone traduzioni, con commenti essenziali ma sempre corretti. Alla base del progetto della nuova BUR c’è dunque l’idea della continuità con la tradizione. Oggi però i classici sono presentati in modo diverso: testo a fronte, introduzioni e commenti più complessi, affidati a specialisti universitari. Alcune sono vere e proprie edizioni critiche: gli Inni. Epigrammi. Frammenti di Callimaco, curati dal giovane e brillante studioso Giovan Battista D’Alessio, tiene conto di tutti i papiri conosciuti fino a oggi. È un’edizione che non hanno nemmeno le case editrici di classici.
 
È un modo di proporre i classici diverso da quello della BUR storica, pensata come biblioteca di formazione …
La BUR è ancora in parte così: col passare degli anni però il pubblico preferenziale è diventato quello universitario o anche un pubblico colto, non specialista di letteratura classica, ma che vuole avere comunque nella propria biblioteca il De rerum natura di Lucrezio.
 
Proposte recenti della BUR sono la BUR-La Scala e il SuperBUR del Mese. Sono proposte che suggeriscono l’esistenza di un’articolazione per livelli dell’offerta che interagisce con quella per generi.
Ho riflettuto molto sulla prima BUR, prima di pensare ad altro ho pensato a quello che già c’era. Mentre la prima BUR, uscita nell’immediato secondo dopoguerra, rispondeva ancora a un tipo di richiesta culturale ottocentesco (la cultura era il mondo classico, era considerevole la presenza della poesia), dopo il miracolo economico, il 1968, l’acculturazione di massa, il pubblico si è fatto molto più articolato. La BUR così ha dovuto rinunciare a essere un contenitore universale e ha dovuto darsi sottosezioni, partizioni interne. Nel 1989 per la narrativa di intrattenimento, anche alto, ho dato vita alla SuperBUR (Ludlum, Clancy Stewart, Maraini, Fallaci) mentre i Superclassici sono più recenti. Mancava però un contenitore per la narrativa letteraria di qualità, e quest’anno abbiamo pensato alla BUR-La Scala (che ospita Loy, Perec, Cohen, Cassola ). Il SuperBUR del Mese risponde invece a un’altra richiesta. Con il recente grande successo dei supereconomici si è capito che gli italiani leggono, ma sono disposti a spendere poco. SuperBUR del Mese (e il futuro Superclassico del Mese) hanno appunto un prezzo molto contenuto, 8-9000 lire, e sembra che funzioni. Con questo prezzo si arriva anche nei supermercati, si raggiunge un pubblico che non entra in libreria. Le librerie sono piccole, per il tascabile non c’è posto: le collane tascabili sono collane di catalogo (la BUR ha duemila titoli, Bompiani mille, Mondadori tremila), ma solo pochissime grandi librerie hanno spazio per poter tenere tutti i titoli. Quindi ben vengano i supermercati.
 
All’inizio tascabile ed economico erano sinonimi, adesso in un sistema dell’offerta differente, che significato possiamo dare all’ etichetta «libro economico»?
Appunto il prezzo e il formato. Un libro è economico o tascabile se è piccolo, se costa poco, e se si tratta di un libro già pubblicato in edizione maggiore. Ma quanto poco deve costare? Dovrebbe costare tre-quattro volte meno: quando è nata la BUR, quando sono nati gli Oscar, era così. Oggi invece, presso tutti gli editori, l’economico costa circa la metà dell’edizione in hard-cover. E circa la metà non risponde al concetto di economico tascabile. Il vero tascabile dunque è il supereconomico.
 
Il tascabile cerca il suo lettore attraverso il modo in cui il libro è vestito (grafica, paratesto) e il modo in cui è distribuito e promosso. Quali sono le componenti più rilevanti di questo processo e quali dovrebbero essere per favorirne una maggior diffusione?
Da quando ho cominciato a lavorare in editoria, si discute il problema del numero dei lettori in Italia. Sono pochi, è vero, ma i pochi lettori italiani sono lettori forti, sono lettori migliori. Nelle classifiche americane ai primi posti compaiono libri di facile lettura, di intrattenimento, non sempre poi destinati a diventare best seller in Italia; in Italia invece un autore come Calvino è stato varie volte primo in classifica, fatto impensabile in America. I nostri best seller vanno dal Gattopardo, a Calvino, a Cassola, Bassani, Eco. In sostanza l’editoria italiana lavora per due-tre milioni di forti lettori. Però noi siamo (detratti i bambini piccoli e gli anziani non più in grado di leggere) cinquanta, quarantacinque milioni. Sono quindi davvero molte le persone che non considerano il libro come un oggetto di consumo normale: in Italia chi legge un libro è un intellettuale, uno che «si dà delle arie». Siamo invece i più grandi consumatori del mondo di carta stampata colorata, le riviste patinate sono un consumo normale, non certo meno costoso del libro.
Mi chiedo come va confezionato l’economico. I Miti, i Super-pocket hanno confezioni molto spettacolari, eclatanti, accattivanti, fatte per colpire l’attenzione. In realtà non so quanto sia giusto e necessario. Ho la sensazione che ci si rivolga sempre allo stesso pubblico, che forse compra qualche libro in più … Oggi su ‘Tuttolibri’ primo in classifica dei supereconomici è Le nozze di Cadmo e Armonia di Calasso: le sembra un consumo popolare? Quanto alla distribuzione, la prima grande invenzione, con gli Oscar, è stato il libro in edicola, riproposta e potenziata oggi con i Miti, i Superpocket e i SuperBUR del Mese. Mi hanno sempre colpito infatti quei dati statistici secondo i quali più di trenta milioni di italiani vivono in luoghi dove non ci sono librerie … restano peraltro ancora venti milioni di potenziali acquirenti e invece solo due milioni comprano libri. Del resto si avrebbero più librerie se ce ne fosse richiesta. Se non si apre una libreria a Certaldo, forse è perché, a conti fatti, non si riesce a pagare l’affitto.
 
Mi chiedo se l’industria editoriale e il giornalismo culturale non abbiano da rimproverarsi qualcosa per la promozione degli economici. Si ha l’impressione che per l’economico funzioni il principio della promozione non dei singoli titoli ma della collana, della sigla editoriale, con una tendenza ad annullare in certo modo l’individualità del singolo prodotto.
Questo è l’altro punto dolente. Non so se ci sia qualche colpa, qualche responsabilità, è un dato di fatto: è difficile far parlare di un libro economico. Di nuovo, non sarà un caso, non credo sia mancanza di professionalità: se un adeguato servizio informativo non viene dato è perché non viene richiesto. Ciononostante, credo sarebbe necessaria per il tascabile almeno una segnalazione senza fronzoli dei titoli usciti e una maggiore attenzione per le novità, che costituiscono il 10-15 % del totale. Per quanto riguarda gli editori, lo strumento fondamentale resta il catalogo. È stata tentata qualche pubblicazione da distribuire in libreria, ma la libreria è un ghetto.
 
Quale il futuro del tascabile in Italia?
Ritengo che le potenzialità del tascabile non si siano ancora dispiegate, quindi sono ottimista: abbiamo moltissima strada di fronte a noi e la percorreremo. Ciò che avviene nei grandi paesi industrializzati, come gli Stati Uniti, dopo qualche tempo avviene anche da noi. In quei paesi il best seller vende molto di più in tascabile che non in edizione maggiore (in America, se un best seller vende in hard-cover 500 mila copie, il tascabile ne vende 5 milioni). Da noi accade il contrario, perché? È un fatto di costume e di cultura. E la scuola ci dovrebbe aiutare: purtroppo, i giovani che non trovano modelli diversi in famiglia, hanno come unico esempio di libro quello di testo, da cui cercano di fuggire il più possibile. Leggere deve diventare una cosa normale, come l’uso del sapone o del dentifricio, non essere considerato una stranezza, una eccentricità, un fatto «intellettuale».