Quando il pubblico premia i libri giusti

Le ricorrenti polemiche sulle e contro le classi/t’che dei libri di successo ripropongono puntualmente una convinzione: il rapporto tra il valore artistico di un’opera e la sua diffusione sarebbe inversamente proporzionale. I libri davvero notevoli sono apprezzati da pochi; i libri accettati bene dal mercato sono proprio perciò qualitativamente scadenti. Ma forse la situazione non è davvero questa.
 
Una delle convinzioni più condivise dagli opinion maker delle pagine culturali di quotidiani e periodici riguarda la qualità dei libri apprezzati dal grande pubblico. Il rapporto tra valore artistico di un’opera e la sua circolazione sarebbe inversamente proporzionale: i libri davvero notevoli sono apprezzati da pochi, i titoli a larga diffusione sono proprio perciò qualitativamente scadenti.
Si tratta di un’idea ampiamente condivisa dagli specialisti. Del resto, sempre più spesso i due ruoli tendono a essere interpretati dalla stessa persona, basti pensare all’operosa attività accademica e militante di Giulio Ferroni e di Pier Vincenzo Mengaldo.
Le ricorrenti polemiche sulle e contro le classifiche impugnano puntualmente questo argomento: basta che un libro entri in graduatoria ed ecco immediatamente scattare il sospetto di scadente corrività. Per bilanciare l’apprezzamento dei lettori comuni tacitamente espresso con il semplice acquisto dell’opera, Giovanni Raboni ha avanzato una proposta accolta dal «Corriere della Sera»: che si crei una giuria di superlettori, una «commissione composta a titolo permanente dai critici letterari» (Giovanni Raboni, Classifiche: proviamo con i critici, in «Corriere della Sera», 22 settembre 1996) incaricata di stilare una graduatoria di dieci libri basata sulla somma delle preferenze individuali accordate dal pool di esperti.
Domenica 22 dicembre 1996, Ventuno giurati eccellenti scelgono i libri che hanno apprezzato di più nell’ «anno editoriale» appena trascorso; ognuno può esprimere cinque preferenze. Come prevedibile, nelle centocinque posizioni disponibili entrano solo sei libri presenti pure nelle classifiche «popolari», ma del tutto occasionalmente e a livello molto basso, a eccezione del De senectute di Bobbio (Einaudi, 1996), scelto da Claudio Magris. Sembrerebbe dunque esserci una profonda frattura fra le valutazioni degli esperti e le preferenze del pubblico, né c’è da stupirsene visto l’atteggiamento della maggior parte degli addetti ai lavori, non di rado snobistico, spesso ispirato a senso di superiorità, a volte improntato a un pessimismo pressoché rassegnato circa il destino del libro nella moderna società mercantile e massmediatica.
Eppure, forse la situazione non è esattamente questa. Forse le scelte del lettore comune non sono sempre così scontatamente acritiche. Uno spaccato particolarmente interessante delle preferenze degli acquirenti espresse nel 1996 è fornito da Michele Brambilla (Best seller. Le vere classifiche, in «Corriere della Sera», 26 aprile 1997). Limitatamente alla letteratura italiana ecco i dati salienti: nel 1996 Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa ha venduto 24.270 copie, Il visconte dimezzato di Calvino 22.090, Il deserto dei tartari di Buzzati 16.910, Il fu Mattia Pascal di Pirandello 16.150, Gli indifferenti di Moravia 15.920. Sorprendenti i dati della poesia: Montale, 41 poesie, 30.570 copie vendute; Ungaretti 37 poesie, 26.850. Cifre che a causa dei criteri di rilevamento la Demoskopea ritiene inferiori del 30% a l volume effettivo di vendita di ogni singolo titolo. Ma anche cifre modestissime rispetto alla diffusione totale nel tempo di quei libri, per buona parte autentici long seller: basti dire che nel 1992 Il fu Mattia Pasca! aveva venduto 48.320 copie, Il Gattopardo 21.230. E in molti casi si tratta di titoli sulla breccia da decenni.
Di fronte a questi dati occorre anzitutto sottolineare la funzione propulsiva della scuola. Certo, le lamentele sono sacrosante: la scuola italiana non abitua a leggere, imporre I promessi sposi e La Divina Commedia (due titoli non a caso assenti dalle classifiche) spesso significa ottenere risultati di definitiva disaffezione, i docenti sono i primi a non amare la lettura e a non aggiornarsi sulle novità. Ma forse la scuola è anche altro, forse molti insegnanti non si limitano a cercare di rendere appassionanti agli occhi dei ragazzi narratori e poeti tradizionali, ma stimolano la curiosità degli studenti verso letture «fuori programma». Lo prova per tutti lo straordinario e assai longevo successo di Siddharta di Hesse, venduto nel 1996 in ben 49.430 copie.
Del resto, le scelte messe in luce da Brambilla, apparentemente così scontate nel merito e sorprendenti nella quantità di preferenze, nascondono qualche interessante suggerimento critico. Agli «eccellenti giurati» del «Corriere» si chiedeva di individuare, fra gli altri libri, un «classico». Il più votato è risultato Francesco Petrarca (da Ferroni, Baldacci, Magris, Raboni), a pari merito tutti gli altri, da Platone a Fedro a Callimaco. Ben diverse le scelte del pubblico generico, esclusivamente indirizzate verso una categoria di scrittori tanto popolare quanto «invisibile» agli esperti: quella dei classici del Novecento. Un insieme di testi davvero forte, una volta tanto in grado di mettere d’accordo critici e comuni lettori.
A fianco di queste letture «tradizionali», naturalmente, ci sono quelle orientate verso le novità, il cui andamento è monitorata dalle classifiche dei quotidiani. Osservando questi elenchi, colpisce la varietà dei titoli selezionati dai lettori-acquirenti, tanto più ampia tenendo conto delle altre letterature nazionali e degli altri generi, esclusi dal mio ragionamento. Un fatto che sottolinea non solo la notevole stratificazione del pubblico e la varietà delle sue richieste, ma anche l’ottima capacità di selezione individuale all’interno di un ventaglio di offerte – come si sa – assai abbondante.
Per farsi una rapida idea del panorama disegnato dalle classifiche nel 1996 si può consultare la graduatoria dei cento più venduti tra gennaio e aprile (‘Tuttolibri’, 16 maggio 1996). Sempre tenendo d’occhio esclusivamente la letteratura italiana, ecco gli autori selezionati: Tamaro numero l, Baricco 3, Benni 4, Bevilacqua 7, Rigoni Stern 13, De Carlo 21, Brizzi 23, Montale 25, Lagorio 37, Di Lascia 40, Casati Modignani 48, Calvino 50, Ungaretti 59, Primo Levi 65, Rocco e Antonia 78, Zecchi 82, Maggiani 84, Cotroneo 93, Leopardi 98. Si potrebbe sostenere, non senza fondamento, che Zecchi e Cotroneo sono in posizione appropriata a l livello letterario delle rispettive opere, e del resto parecchie esclusioni potrebbero essere assunte a implicito giudizio critico, come nel caso di Ka di Calasso. Da questo punto di vista, a stupire è piuttosto il terzultimo posto di Leopardi.
Il fatto degno di nota è però un altro: l’unica professionista del best seller «di consumo», Sveva Casati Modignani, non primeggia affatto ma si colloca solo a metà classifica. Per il resto, escludendo alcuni scrittori troppo giovani all’anagrafe letteraria come la Di Lascia e Maggiani, il cui status è però attestato dal conferimento di autorevoli premi, parecchi altri hanno la loro canonica scheda nella «Garzantina» della letteratura italiana e nei principali repertori correnti. Lungi dall’essere mestieranti alla caccia di un effimero successo, fanno invece parte a vario titolo della società letteraria nazionale.
Un’ultima osservazione. Secondo le classifiche, i nostri autori «migliori» sono quelli più esportati, in primis Susanna Tamaro, tradotta in 34 lingue: i lettori italiani non saranno forse sintonizzati con i critici nostrani, ma con il grande pubblico del mondo occidentale sì. Addirittura, in Italia Va’ dove ti porta il cuore ha superato Follett, Smith, Crichton e tutti gli altri grandi professionisti inglesi e americani dell’avventura scritta. Forse con questo attestata di stima il nostro pubblico ha premiato il romanzo della Tamaro individuandone uno degli aspetti di maggiore perspicuità. Si tratta infatti del best seller che meglio rappresenta a livello internazionale la tradizione narrativa specificamente italiana, fortemente intimista, a basso tasso d’avventurosità, con personaggi molto rilevanti e non numerosi, poco giocata sull’intreccio. Una tradizione ben nota a un pubblico tanto affezionato ai classici italiani del Novecento.