Il ricettario della New Age

Nella pubblicistica New Age l’universo del discorso resta inespresso, quasi che si fidasse in un effetto gestaltico nel lettore, disposto a chiudere i contorni mancanti con quelli della figura complessiva che lui ha in mente. A meno che il nucleo hard del pensiero New Age non siano i non meglio definiti concetti di «armonia», «amore», «convinzione» ed «energia» richiamati a ogni pié sospinto.
 
Scimmiottando i maestri zen, si potrebbe cominciare a definire l’oggetto con due storie. Storia numero uno: un giornalista spiega a un pubblicitario come sia strutturata la rivista per cui lavora, dicendo che si occupa di tutte le branche della medicina che, pur insistendo anche su «grandi patologie», hanno un impatto soprattutto sul benessere, dalla nutrizione all’angiologia, alla dermatologia. «Ah, ma allora è New Age» risponde il pubblicitario. Storia numero due: un cliente chiede al commesso di un grande emporio musicale dove possa trovare dischi di Steve Reich (musicista americano minimalista, come Glass del resto, ma forte di una scrittura seriale rigorosa): «È nella New Age» risponde il commesso.
D’acchito sembra che New Age sia oggi una sorta di etichetta residuale, sotto la quale confluiscono gli oggetti difficilmente classificabili, ma in qualche modo lontani dalle categorie forti del pensiero occidentale: la rivista medica che non parla di interventi di cardiochirurgia ma di nutrizione, la musica che «a orecchio» sembra un po’ orientaleggiante e, quindi, aliena alla tradizione colta (o meglio alla percezione che molti ne hanno).
Che cosa poi sia effettivamente la New Age non è peraltro facile da dire in modo conciso. Sostanzialmente è un movimento meno nuovo di quanto sembri ora, che si sviluppa negli Stati Uniti negli anni settanta, e che idealmente viene considerato la prosecuzione del movimento degli Acquariani, cioè coloro che ritenevano che l’ingresso nell’età dell’Acquario (ricordate Hair?) avrebbe portato a un radicale mutamento dei rapporti umani e sociali, a un nuovo rapporto con l’universo e, in definitiva, a un salto evolutivo. La New Age parte da lì, e da una critica della società attuale che si incardina sul rifiuto di un ambiente tecnologizzato e antiecologico, su un’organizzazione del mondo del lavoro spersonalizzante, e quindi nemica di un rapporto autentico con se stessi e gli altri, su una costante reificazione sfociata nel consumismo totalizzante. Il fenomeno viene dato in estinzione nella madrepatria, e difatti si parla già di Next Age, si passa cioè dalla nuova era a quella successiva.
Secondo alcuni commentatori, negli Stati Uniti sarebbero una ventina di milioni gli adepti o comunque gli interessati alla filosofia New Age, in Italia sarebbero circa 700 mila. Prese con beneficio d’inventario le cifre, chi sono in Italia i seguaci della New Age? Secondo Daniela Marafante, dell’Istituto RIZA che all’argomento ha dedicato lo scorso anno un riuscitissimo convegno, si distinguono diverse fasce. Innanzitutto c’è una parte sostanziosa di persone sensibili ai temi dell’ecologia, magari i più inclini ad accettare che la natura, e la terra, possano essere divinizzate, come avviene per esempio nella cultura celtica – anche in quella greca, peraltro, ma quest’ultima sembra interessare meno i «new-ager». Poi viene chi è alla ricerca di una qualche spiritualità che si differenzi dalle religioni rivelate, ma che soprattutto sia in grado di rispondere al cruciale quesito «perché ci si sveglia al mattino?». Del resto il movimento è caratterizzato da un totale sincretismo. Secondo l’interpretazione New Age corrente, le diverse religioni sono una costruzione culturale che risponde comunque a bisogni fondamentali di ricerca che, ovviamente, sono più o meno gli stessi del new-ager. A queste due aree si affianca quella di coloro che hanno a cuore la cura del corpo, rifiutando però l’approccio della medicina scientifica: tecniche dolci, quindi, spesso collegate alle medicine tradizionali orientali o a tecniche nuove come la cristalloterapia. Di qui anche l’interesse per l’alimentazione, la ricerca del cibo naturale, non trattato, non bioingegnerizzato, in breve meno morto.
Ma nelle formulazioni più alte, l’interesse per il corpo va al di là del salutismo un po’ stolido da rivista di fitness, in quanto è la manifestazione concreta di un diverso giudizio sul corpo, che non è più la prigione della religione cattolica, ostacolo all’esplicarsi della spiritualità, né la prigione platonica ostacolo alla contemplazione delle idee. Tutt’altro, il corpo ha una sua intelligenza è un medium fondamentale per la piena comprensione della vita.
Chi c’è ancora? Coloro che credono nel contatto, vale a dire non solo nell’esistenza di altre vite intelligenti, ma anche nell’esistenza degli UFO, dei rapimenti di terrestri e di tutto quanto segue, anche se più che dalle parti degli XFiles di Chris Carter siamo nel­l’ atmosfera delle Guide del Tramonto di Arthur C. Clarke, perché la funzione degli extraterrestri è essenzialmente positiva, sono una guida, una presenza destinata a orientare l’umanità verso un livello superiore di esistenza.
Questa è la New Age alta, perché ne esiste anche una bassa, che sussume in modo più o meno indifferenziato tutta la tradizione dell’occulto, dai tarocchi alle pratiche simil-magiche. È la New Age degli annunci che promettono corsi per raggiungere l’illuminazione in sette giorni, sintetizza Marafante, ed è in reazione proprio a questa degenerazione (che ha aspetti folk e affaristici ma anche altri ben più preoccupanti) che sarebbe nata la Next Age.
Questa spiegazione è senz’ altro limitata, ma del resto qui non della New Age si tratta, ma del suo coté editoriale. Il quale presenta alcune peculiarità. Intanto è più un fenomeno da libreria che da edicola. Non solo perché l’arrivo in Italia di questa «religione postmoderna» ha coinciso probabilmente con un incremento dell’attività delle case editrici storiche dell’esoterico e del sapien­ziale, come Mediterranee e Armenia, ma con l’arrivo di nuove iniziative, come i Nuovi Delfini del Gruppo Futura, e i bei colpi di editori come Corbaccio, che si è assicurato la traduzione di tutti i libri di James Redfield, che con la sua Guida alla profezia di Celestino ha assunto in breve un ruolo di primissimo piano. Non ultima conseguenza è l’imporsi anche qui di autori come Carlos Castaneda o Paulo Coelho ritenuti fondatori-adepti-compagni di strada del movimento.
Il numero relativamente ridotto di periodici testimonia probabilmente della non grandissima penetrazione e anche della mancanza di un sostanzioso mercato pubblicitario: non è un dato direttamente correlabile, è vero, ma secondo la Ricerca Sinottica Eurisko, il numero delle persone che dichiara di curarsi prevalentemente o esclusivamente con rimedi alternativi rappresenta sì e no il 5% del campione intervistato. I periodici che espressamente si richiamano alla New Age si contano sulle dita di una mano, e la maggior parte di loro ha una particolarità notevole: viaggia insieme a un compact disc musicale o musicale con traccia CD-ROM, per visualizzare immagini e filmati al personal computer.
Questa, per esempio, è la formula di «New Age New Sounds», la prima rivista del settore italiana (è un mensile giunto al suo ottantatreesimo numero, nato nel 1990). È pubblicata dalla New Sounds, che edita anche altre riviste che hanno in comune l’interesse musicale e la riscoperta (?) di tradizioni e culture dimenticate: «Keltika», «Medioevalia», «Nuova Era» (qui il gioco è un po’ facile). Al centro dei servizi in questa rivista c’è la musica. Del resto, vista la disinvoltura di molti new-ager nello scegliere questo o quello strumento per raggiungere un diverso stato emotivo, e una diversa consapevolezza, dai tarocchi alle candele, non deve stupire che la musica, fenomeno destrutturante della percezione del tempo, sia un elemento. centrale nell’apparato teorico e pratico del movimento.
Ma non c’è solo questo, e una quota parte è rivolta alle categorie delineate prima: articoli sulla ricerca dell’armonia tra mente e corpo, sull’uso del proprio corpo come porta per un diverso stato di coscienza e via di questo passo. C’è anche parecchia psicologia spesso l’argomentazione verte sul pericolo che si corre con una eccessiva compressione delle emozioni, con rimandi (peraltro vaghi) ai concetti scientifici che fanno capo alla psiconeuroendocrinologia, cioè all’interdipendenza tra l’attività psichica e certi effetti sul piano fisico, caso tipico il rapporto tra profilo di personalità, reazione allo stress e malattie cardiache. Compaiono poi altre tecniche da sempre a cavallo tra scienza e mistificazione, come la grafologia.
Più interessante la presenza di articoli dedicati a temi come il pericolo che il turismo di massa rappresenta per le popolazioni tribali, oppure all’inquinamento luminoso delle grandi città. A merito della rivista va detto che il tono è sempre piuttosto contenuto, anche quando in qualche misura ci sono di mezzo argomenti che inducono per loro natura ad andare sopra le righe (per esempio i possibili contatti tra extraterrestri e civiltà precolombiane).
Senz’altro diverso è invece l’approccio alla materia tenuto da «Essere New Age», rivista del Gruppo Futura ben più recente (è nata nel 1996). Francamente è un po’ difficile trovare differenze sostanziali tra questa pubblicazione e quelle più in generale dedicate alla salute e alla fitness (parlando ovviamente di quelle più lontane dalla medicina scientifica). Certamente se si parla di cura del corpo ci si rifà prevalentemente alle discipline orientali, anche se più spesso in versione californiana, e mentre l’idea di curarsi con i colori o con i cristalli nei mensili di salute occupa di solito una piccola parte, qui i rapporti quantitativi si invertono. E così si può parlare per pagine dei portenti dell’acqua di mare (impossibile da ricreare in laboratorio, sostiene l’omeopata intervistato) senza citare un solo studio pubblicato, per poi concludere fornendo in uno specchietto le indicazioni: raffreddore, sinusite, eczema, inappetenza dei lattanti e poco altro. Tanto tuonò che piovve. La trattazione in sé, insomma, non cambia rispetto alle riviste cugine, e a volte nemmeno le firme degli articoli.
Lo stesso vale per gli articoli di alimentazione: ben fatti, certamente, ma non dissimili da quelli che si incontrano anche nelle pagine dei femminili. Come nei femminili, ma soprattutto quelli di un po’ di anni fa, abbondano le pagine dedicate alla chirologia (attenzione, non la chiromanzia, qui si parla di analisi del carattere in base alla lettura della mano), numerologia, astrologia. In questo senso, l’idea che si cerchi di agganciare il sostrato irrazionalistico da sempre presente nella società esce confermata.
Dalle riviste di fitness e salute è ripreso – da tutte le pubblicazioni New Age – anche lo schema che vede accanto all’enunciazione di concetti generali il tentativo di saldare sempre il tutto a una precettistica più immediatamente spendibile, e così un discorso a suo modo «alto» sulla necessità di imparare a comunicare si conclude con indicazioni come «siate flessibili», oppure «diventate consapevoli che ognuno ha una sua interpretazione della realtà», cioè il «mondo è bello perché e vario» oppure, versione da liceo classico, tot capita tot sententiae.
Dov’è allora la specificità New Age? Forse nelle rubriche, dove si intrecciano domande sul rapporto tra universo deterministico, il karma e il libero arbitrio, cui si danno risposte che si concludono indicando l’impossibilità «di comprendere o seguire la New Age soltanto con la razionalità» perché «equivale a pretendere di usare un martello per conoscere un televisore». O nelle interviste agli opinion leader del settore, come lo stesso Redfield, che vale la pena di citare per rendere il tono: «Cosa pensi delle altre dimensioni?» chiede l’intervistatore. «Esistono e sono ricche di conoscenza e interazione» risponde Redfield. «Sto cercando di portare delle illuminazioni dalle altre dimensioni in questa. In realtà esse non sono lontane da noi: se ci apriamo a livello vibrazionale le possiamo percepire senza muoversi di qui».
È ovvio che il gioco delle citazioni avulse dal contesto è facilissimo e, sottoposta a questo trattamento, anche una rivista dedicata alle apparecchiature ad alta fedeltà, per esempio, potrebbe sembrare surreale. Il fatto è che la rivista sull’alta fedeltà fa riferimento a un nucleo di conoscenze stabile ed espresso cui ci si riferisce, magari riassunto anche nell’editoriale per chiarezza, mentre qui l’universo del discorso resta inespresso, quasi che si fidasse in un effetto gestaltico nel lettore, disposto a chiudere i contorni mancanti con quelli della figura complessiva che lui personalmente ha in mente.
A meno che il nucleo hard del pensiero New Age non siano i non meglio definiti concetti di «armonia», «amore», «comunione» ed «energia», richiamati a ogni piè sospinto.
Che il movimento New Age abbia una sua ben precisa spiegazione sociologica, e forse antropologica, soprattutto in un periodo di stanchezza dei sistemi di pensiero più strutturati, è innegabile. Basta pensare alla rimozione del corpo che caratterizza i giovani programmatori descritti da Douglas Coupland in Micro­servi per capire come una dottrina che rimetta in discussione la percezione di sé non possa che rispondere a un bisogno reale. Così come è pacifico che il bisogno di comunicare non possa essere esaurito nelle chat di Internet o nell’espansione dell’uso dell’e-mail, e difatti in alcuni dei migliori articoli letti sulle riviste italiane si accenna una critica a questa visione un po’ semplicistica dei rapporti interpersonali nella società informatizzata. Resta il dubbio se a queste necessità risponda efficacemente, più che la New Age, la pubblicistica New Age.