Lanci divistici e pubblicità austera

Perché un autore possa incontrare il proprio pubblico non basta che il suo libro sia pubblicato, occorre che sia pubblicizzato: deve cioè affidarsi alle regole del marketing. Ma c’è pubblicità e pubblicità. Le grandi promozioni, i lanci divistici vengono riservati solo a libri di figure di spicco della tv, della politica, dello spettacolo e dello sport; agli altri rimane, per lo più, la sintetica segnalazione su quotidiani e periodici. Esistono però varie tecniche che consentono di valorizzare l’attrattiva del testo, soprattutto di narrativa, sempre facendo perno sulla personalità dell’autore.
 
Il sogno di qualsiasi libro, la sua legittima aspirazione, è finire tra le mani di qualcuno, se non proprio di ognuno. Qualcuno che sappia prendersene cura, leggerlo, apprezzarlo, utilizzarlo, eventualmente donarlo. Tuttavia, per aver buone probabilità d’incontrare il proprio pubblico, non basta che il libro sia pubblicato, ma occorre che sia anche pubblicizzato: ne va della sua stessa sopravvivenza, sia culturale sia materiale.
Se vuole ottenere un minimo di attenzione, se non di fama, il libro deve dunque affidarsi alle tecniche e alle regole del marketing che si applicano alla commercializzazione di qualsiasi altro prodotto di marca, sperando che l’editore decida di offrirgli un sostegno pubblicitario adeguato. Nelle situazioni più fortunate, soprattutto quando l’autore può già contare su una buona base di successo e di notorietà, il lancio avviene in grande stile e il libro viene trattato come una vera star: apparizioni in TV, recensioni, interviste radiofoniche, presentazioni, premiazioni, conferenze, materiale illustrativo al punto di vendita, e così via. Più che di “pubblicità” in senso stretto, in questi casi è corretto parlare di “promozione”: un insieme di misure volte a stimolare l’interesse dei potenziali lettori, più o meno dispendiose, e soprattutto ad hoc, mirate, specifiche, cioè pensate e attuate in funzione delle caratteristiche peculiari di un certo autore (Baricco non avrà lo stesso trattamento di Grisham, di Camilleri, di Allende) , o di un determinato titolo o filone tematico (vedi il caso di Ramses). Il valore – e il ritorno economico – delle iniziative per il lancio e la promozione di un nuovo prodotto-libro dipenderanno dal loro grado di coerenza complessiva, dalla concentrazione nel tempo, dall’abilità di manovra dell’editore.
Per molti aspetti, ogni lancio fa storia a sé, anche a causa della forte personalizzazione e della generale tendenza a valorizzare le componenti divistiche e d’immagine dell’autore. Diventa perciò difficile rintracciare abitudini, regole, ricorsi: prevale l’irripetibilità dell’evento, come per una nascita o un’inaugurazione.
Il carattere di evento e i risvolti mondani si accentuano quanto più l’autore è una celebrità, un personaggio, detentore di un’immagine e di un nome la cui risonanza eccede i confini del mondo dei libri. A ben vedere, se l’autore – a volte, per la verità, semplice committente che si serve di un ghostwriter – è figura di spicco della TV, della politica, dello spettacolo, dello sport, dell’economia, o anche soltanto della cronaca rosa o nera, il prodotto da promuovere non sarà tanto il libro (o lo sarà solo in apparenza, strumentalmente), bensì il personaggio stesso. Ciò che conta (per l’autore) è, appunto, l’avvenimento: la produzione e l’esistenza fisica del libro, con i suoi connotati di prestigio e le suggestioni di permanenza nel tempo, mentre le qualità intrinseche dell’opera sembrano irrilevanti e di fatto rimangono in secondo piano, al di là degli elogi di chi “deve” parlarne bene.
Anche l’eventuale successo del libro non si appoggerà propriamente a ragioni estetiche o culturali, ma piuttosto a spinte effimere di curiosità, a urgenze di tipo voyeuristico (retroscena, debolezze, panni sporchi) o presenzialistico (non rimanere indietro, non essere tagliati fuori dagli avvenimenti), che trovano senso all’interno di un culto (a volte anche negativo e rovesciato) per questa o quella celebrità.
Del resto, siamo di fronte a una produzione editoriale spesso “istantanea”, di taglio autobiografico, memorialistico o di saggistica leggera, che di solito non si pone espliciti obiettivi artistici o scientifici. E il pubblico stesso che risponde positivamente a simili proposte editoriali non intrattiene un rapporto particolarmente assiduo e qualificato con il mondo dei libri.
Notoriamente, in Italia i lettori deboli sono la grande maggioranza, stando ai dati di ricerca sull’argomento, sempre piuttosto sconsolanti. D’altronde, il mercato italiano dei libri – non scolastici – è un mercato piuttosto statico e modesto: circa la metà della popolazione italiana adulta non compra né legge neppure un libro nel corso di un anno. In queste condizioni, è proprio la massa dei lettori deboli o saltuari (un solo libro o pochi libri all’anno) che determina le grandi tirature e contribuisce in modo rilevante al successo degli scrittori di fiction che vendono meglio – i vari De Carlo, Tamaro, Pennac, Cornwell, King, Montalban, Crichton, e via dicendo. Le maggiori campagne di promozione e pubblicità libraria a sostegno dei potenziali best seller devono puntare, per forza di cose, su questo pubblico.
Se è vero che l’italiano medio legge pachino (non solo i libri, ma anche i giornali e la carta stampata in genere) ed entra malvolentieri in libreria, non fa meraviglia il fatto che non sia particolarmente toccato dalla pubblicità libraria di tipo più canonico: gli annunci – spesso piuttosto piccoli: riquadri colonnine talloncini, più che pagine intere – su quotidiani, periodici, riviste specializzate o supplementi letterari. Diversamente da quanto accade per tanti altri beni e servizi di largo consumo, dunque, la pubblicità del prodotto-libro sembrerebbe riguardare primariamente un pubblico relativamente ristretto di acquirenti/lettori sufficientemente stabili e regolari, il cui numero si può stimare intorno al milione e mezzo di persone.
Considerando nel suo insieme la pubblicità libraria classica, si ha conferma del suo carattere quasi specialistico. Sono per lo più comunicazioni piuttosto sobrie, per non dire severe, che non sembrano proprio progettate con intenti di stupefazione o provocazione, come succede per molte altre categorie di prodotti. Nella pubblicità dei libri si rinuncia a ogni tentativo di valorizzare le qualità materiali e sensoriali dell’oggetto, che sono invece esaltate al massimo grado quando il bene da pubblicizzare è un’automobile, un gelato, un paio di scarpe. Non è solo questione di minori possibilità e volumi d’investimento, ma piuttosto di un limite espressivo intrinseco – o di un’autolimitazione – ben visibile soprattutto in TV, dove il libro, inteso come oggetto materiale, si trova in fondo sempre un po’ a disagio e fuori posto, come certi intellettuali di prestigio ma un po’ all’antica, troppo colti, cauti e analitici per poter risultare minimamente telegenici e catturanti. Ma anche in un contesto molto meno estraneo – il supporto cartaceo, la pubblicità sul mezzo stampa – sono rari gli esempi di rappresentazione visiva miranti a (e capaci di sortire) un effetto di seduzione diretta, affidata ai meriti percettivi del libro.
Il motivo non è così difficile da individuare: la veste esteriore non riesce a dar conto, se non alla lontana, in misura ridotta e in forma indiretta, dei contenuti e dei valori del testo che essa racchiude e nasconde. Mentre un cd o, ancor più, un film su videocassetta possono comunicare qualcosa di sé, e mobilitare un processo di seduzione e suggestione profonda, attraverso il front cover, che si pone in una relazione di tipo analogico con i loro contenuti, l’operazione è ben più problematica per un libro, tant’è vero che classicamente, e tuttora in tantissimi casi, la copertina è “astratta”, priva d’immagini o comunque non figurativa.
In effetti, per ciò che riguarda le pubblicità dei libri su quotidiani e periodici, risulta facile constatare la loro impostazione meramente enunciativa: titolo, autore, casa editrice e niente più. A volte si pubblicizza un singolo titolo, a volte una collana, oppure la produzione più recente di un editore, sempre rimanendo sul registro della pura elencazione. Altre volte ancora ci si concede qualcosa in più, spingendosi fino alla riproduzione della copertina e introducendo quindi, per quanto timidamente, un appiglio visivo, finalizzato alla migliore riconoscibilità, ma l’impostazione di fondo non cambia. Un’ispirazione così strettamente informativa induce a distanziare gli annunci librari dalle consuete pagine pubblicitarie di altro tipo, suggerendo semmai una parentela con i piccoli annunci economici per trovare lavoro o vendere un appartamento, stereotipati e privi di qualsiasi elaborazione espressiva originale. Il carattere di pura enunciazione sembra rispondere a una funzione puramente pratica e ad un implicito intento autoselettivo: chi conosce e ama quel dato autore, chi è sensibile al titolo o interessato all’argomento riceve il messaggio, mentre tutti gli altri passano oltre come se non ci fosse, ma poco importa, perché proprio la loro distrazione chiarisce che in fondo non si tratta di autentici lettori potenziali.
Quando però si decide di osservare più da vicino gli annunci pubblicitari di libri nella loro pluralità, emerge una somma di tratti peculiari e aspetti differenziali, che sollevano queste comunicazioni dal livello della semplice informazione o elencazione e le caricano di significati e sfumature espressive ulteriori.
Un carattere comune a tutte le comunicazioni è la ricerca di un effetto di appartenenza e di sufficiente distintività, così da evitare per quanto possibile i rischi di confusione con le case editrici concorrenti. Oltre alla presenza del logo e del marchio dell’editore (talvolta corredato dal sito Internet), è di rigore quindi mantenere la medesima apparenza grafica – tipo e corpo dei caratteri, proporzioni relative delle unità di testo, ecc. – che poi si ritrova in concreto nell’oggetto-libro. Anche la più cruda elencazione non può prescindere da tale preoccupazione di coerenza e riconoscibilità. Semmai, più spesso, ci s’imbatte in timidi accenni di abbellimento: un fregio art nouveau (Adelphi), un marchio (il cielo stellato di Bollati Boringhieri) evidenziato e tagliato in modo elegante, un montaggio vagamente estroso e mosso (il Mulino) . Viene dunque ad ampliarsi il repertorio degli strumenti per rendere più articolato e identificabile il singolo annuncio, talvolta cogliendo anche l’occasione per rimarcare l’interesse o la novità di un paio di titoli privilegiati su un elenco di molti, mediante l’inserimento di piccole, appropriate figurette (Cortina) .
In una prospettiva più tradizionale (pubblicitariamente parlando) , distinta dalla mera funzione di aggiornamento (la scritta «Novità» più il nome della casa editrice) , altri annunci s’imperniano sulla scelta di una headline che cerchi di dare senso e unità alla congerie dei titoli, sovente disparati: «Il gusto di conoscere. Il piacere di leggere» (Rizzoli), «Né leggeri, né pesanti» (i libri di base del Mulino) , «Leggere la contemporaneità» (quattro titoli Einaudi di varie collane). Il compito di trovare una formula pertinente, che si applichi all’inevitabile eterogeneità dei titoli più recenti, e che sappia andare oltre l’esortazione generica a una lettura non troppo punitiva, non è certo facile. Molti infatti seguono un altro percorso, cercando di conferire più rilievo alle singole opere, in modo che queste si diano a vedere nella loro individualità, ben delineate sullo sfondo della produzione rimanente. A partire da tale esigenza di valorizzazione di singoli titoli – da bilanciare con un’esigenza di equità rispetto alla concorrenza interna degli altri titoli che condividono lo stesso spazio pubblicitario – sono due le strade battute abitualmente. Da un lato, viene sfruttata la diversità e peculiarità delle immagini di copertina (di tipo figurativo, preferibilmente) dei singoli libri, permettendo a questi ultimi di costituirsi come oggetti indipendenti, che il lettore potrà incontrare di nuovo (si spera) in vetrina, alla stazione, al supermarket. E in effetti, sono gli editori più grossi, o più popolari (Rizzoli, Mondadori, Piemme), che mostrano una maggiore propensione ad affidarsi all’eloquenza delle copertine, sovente impostate appunto su immagini di grande impatto, caratteri cubitali, ecc. Dall’altro lato, di frequente si punta sul breve commento testuale (quasi una replica, condensata al massimo, delle notizie nella quarta o nei risvolti di copertina), con il duplice obiettivo di descrivere e di allettare. Si tratta cioè di introdurre un autore, un argomento, di far capire per sommi capi di che cosa parla il libro, e nel contempo di agganciare il lettore con espedienti retorici e persuasivi più o meno trasparenti.
Sarebbe quanto mai istruttiva un’analisi di dettaglio sulle tecniche messe in atto dalle diverse case editrici in questi testi parapubblicitari, a volte anche abbastanza corposi, se non altro per ciò che possono rivelare sulle diverse politiche editoriali, sulla rappresentazione (o idealizzazione) di sé, della letteratura, della cultura da parte delle case editrici. Basti qui notare una certa divaricazione tra i testi che accompagnano le novità di narrativa e di saggistica (e di non-fiction in genere). I primi generalmente si presentano con una patina di ricercatezza letteraria che nei secondi di solito è assente, sostituita semmai (per le opere di qualche spessore) da un dettato concettoso, denso, impegnati· vo, a certificare la serietà e il valore scientifico del lavoro.
Per la saggistica, comunque, i testi di commento rimangono di solito ben legati alla funzione esplicativa e centrati sull’argomento principale, anche quando cercano di assumere un andamento più vivace e aggressivo (come nella pubblicità Feltrinelli). Un esempio recente, scelto tra i tanti: «Una biografia non autorizzata. – il ritratto preciso e spietato di una delle più grandi e controverse personalità di questa fine millennio. Bisogna avere paura di lui?» (Bill Gates, di Riccardo Staglianò).
Per le opere di narrativa, invece, il trattamento è molto più libero, fermo restando il ruolo determinante della personalità dell’ autore. Quando l’autore non è abbastanza noto e manca il supporto di un successo di vendita già acquisito (centomila copie, quarta edizione, tradotto in sei lingue) , di un premio reputato, o anche di una semplice partecipazione (finalista, selezionato, ecc.), si ricorre al frammento di recensione entusiastica (e di fonte accreditata), all’opinione di un’autorità ritenuta efficace (intellettuale di successo, o altro scrittore già affermato, o anche personaggio famoso e amato dal pubblico, non necessariamente con una competenza specifica), all’incipit, alla frase icastica ed evocativa, al riferimento analogico ad altre opere, ad altri autori di valore indiscusso.
Talvolta sono le sembianze stesse dell’autore, se appena la sua faccia gode di qualche notorietà e simpatia, a svolgere un ruolo di autocertificazione di qualità. L’utilizzo in pubblicità del volto dell’autore non è frequentissimo, forse per una forma di prudenza o di timore di affidarsi ciecamente alle fattezze di personaggi non completamente collaudati in termini di popolarità, e magari non sempre simpatici. A meno che non si tratti di autori consacrati, o trapassati, il cui volto sia ormai diventato un’icona della cultura: è il caso della pubblicità dei «Meridiani» Mondadori, una collana celebrativa e di prestigio che presenta i suoi volumi ponendo a fianco del ritratto – di Thomas Mann, di Eduardo, ecc. – una sua citazione, riquadrando il tutto entro una forma ricorrente che rappresenta un volume stilizzato. È significativo, peraltro, che anche in altre sue pubblicità il principale editore italiano usi estesamente la fotografia di personaggi notissimi (Sgarbi, Walter Chiari, Berlusconi, ecc.) in veste di autori (e con tanto di citazioni), anche a prescindere dai valori culturali. La funzione dell’immagine in tal caso è diversa: aumentare l’attrattiva, il senso di attualità, far riverberare sul libro l’aura del successo e della celebrità ottenuta altrove. Talvolta, quando l’autore è un volto del tutto sconosciuto, non si riesce a ravvisare subito un motivo della presenza dell’immagine e si rimane col dubbio che la vanità abbia preso il sopravvento sul buon senso. Ecco quindi un uomo barbuto, ancora abbastanza giovane, lineamenti regolari e faccia atteggiata a intelligente benevolenza, che guarda dritto verso l’obiettivo, mentre il resto della pagina è cosparso di sue opere già tradotte nella nostra lingua (Frassinelli editore, copertine con illustrazioni di Pericoli) e, in bella evidenza, la citazione da un importante quotidiano francese ci dice che il suo nuovo romanzo è «piacevolissimo e, nello stesso tempo, leggero e grave, malinconico e gioioso».
Oppure, su un registro meno esplicitamente narcisistico, ecco la pubblicità (Fiemme) di un altro narratore, ancora più giovane, la cui testa fa capolino da un bidone della spazzatura (peraltro immacolato), rivelando alcuni tratti fisionomici – la fronte spaziosa, i capelli corti e pure scompigliati, lo sguardo assorto e vellutato – e lasciando il potenziale lettore curioso e intenerito, oltre che immediatamente rassicurato da una selva di giudizi laudativi da parte di vari recensori.
La spiegazione di tali esibizioni probabilmente va cercata in una sorta di divismo anticipatorio, che trova alimento in un tipo umano ormai codificato e consolidato: il giovane talento, brillante e precoce, aitante e belloccio, estroso e non noioso, non più gobbo né goffo né accigliato, pronto a fare la sua figura in TV, in teatro, dappertutto. Un personaggio così piacente e piacevole, finalmente libero da ogni traccia d’impegno o di tensione etica, distante da qualsiasi residuo di amarezza e sofferenza, è la migliore pubblicità per una letteratura – e una lettura – intese come piacere, facilità, intrattenimento.