Una legge per l’editoria. Ma i libri contano meno dei giornali?

Cosa è successo dell’abbondante fioritura di proposte e iniziative legislative a sostegno del libro e della lettura? Si potrebbe dire: nulla. Nel progetto di legge più recente l’attenzione è concentrata quasi esclusivamente sulle imprese di stampa quotidiana e periodica.
E cosi l’editoria libraria appare semplicemente come un’«ivi compresa», volta a diffondere solo opere di elevato valore culturale, a differenza dei giornali a cui davvero spetta il ruolo di garantire il pluralismo culturale.
 
Su Tirature ‘99 – dunque per chi sta leggendo questo numero del 2001, ormai tre anni or sono – avevo descritto la situazione relativa agli interventi legislativi proposti da partiti politici ed esponenti del Governo in materia di editoria libraria, distribuzione, sostegno della lettura, ecc. Allora ne avevo contati 22 (di cui 10 in materia di «agevolazioni fiscali» in favore della famiglia per l’acquisto di libri) a cui dovevano aggiungersene altri due di provenienza governativa. Si stavano concludendo i lavori per la riforma della legge 5 agosto 1981, n. 416 (Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria) coordinati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria. E con la stesura nell’aprile 1998 da parte dei Gruppi di lavoro di uno «Schema di articolato» su cui l’ufficio legislativo del Ministero per i beni culturali aveva iniziato a lavorare, si poteva ragionevolmente pensare a un’imminente presentazione anche di un altro disegno di legge sul libro e la promozione della lettura.
Può essere utile allora andare a vedere cosa è successo in questo arco di anni di quell’abbondante fioritura di proposte e iniziative legislative. Anche se la risposta è molto semplice: nulla ! Nulla, nel senso che nessuna delle proposte si è trasformata in una legge.
Rinviando il lettore al «Giornale della Libreria» e alla «Rivisteria» per un esame più dettagliato degli aspetti legati ai singoli articolati, le posizioni delle parti coinvolte (ma per lo stesso progetto di riforma delle competenze e delle funzioni dei ministeri) vorrei soffermarmi piuttosto su una riflessione più generale sull’argomento. Una riflessione a partire proprio da uno dei provvedimenti che attualmente presenta uno dei migliori stati di avanzamento.
 
1. Il 14 marzo scorso il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Marco Minniti ha presentato al Consiglio dei ministri lo Schema di disegno di legge recante nuove norme sull’editoria e sui prodotti multimediali che propone di rivedere la vecchia legge n. 416. Il testo è il risultato dei lavori avviati nel 1997 dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria (coordinati dall’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Arturo Parisi) , che si erano articolati su sei Tavoli di lavoro, e conclusi nel giugno del 1998 con la presentazione di un documento di Sintesi.
Rispetto alle intenzioni iniziali di riscrittura di una nuova legge sull’editoria che doveva sostituire la precedente adeguandola ai profondi cambiamenti tecnologici e distributivi avvenuti, il testo appare come un momento interlocutorio. In più punti si limita a proporre modifiche al precedente articolato. Rinvia con l’art. 15 a un futuro Testo unico che il governo dovrà emanare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della nuova legge, per un riordino delle disposizioni in materia di editoria, provvidenze alla stampa, emittenti radio e tv, e all’iscrizione ai registri della stampa.
Rispetto all’ampiezza del titolo (Nuove norme sull’editoria e sui prodotti multimediali) l’impostazione del disegno di legge sembra aver smarrito le finalità originarie che erano state date ai lavori precedenti: se nella fase di discussione ai Tavoli di lavoro si superavano le distinzioni tradizionali tra prodotti editoriali, nell’innovativo intento di includere in un unico ambito le diverse tipologie di imprese editoriali sempre più coinvolte in processi di convergenza per effetto delle innovazioni tecnologiche e distributive dei contenuti, il testo presentato ripropone di fatto tradizionali e anacronistiche distinzioni.
Da una parte si enuncia e ribadisce in più punti che la caratteristica qualificante del provvedimento sta in una nuova e più ampia definizione di prodotto editoriale indipendente dal supporto tecnologico con cui viene distribuito e utilizzato dal consumatore finale. Dopodiché vengono mantenute -distinzioni e barriere all’ accesso ai fondi per l’innovazione produttiva o per l’aggiornamento professionale tra filiera editoriale della stampa periodica, e quella libraria o digitale.
Certamente vanno riconosciuti alcuni aspetti innovativi. La semplificazione delle procedure istruttorie per l’accesso ai fondi per l’innovazione. La nuova definizione di «prodotto editoriale» ( art. l, comma 1: «Per prodotto editoriale [ .. . ] si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro [sic] , o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva») che costituisce la principale novità rispetto alla precedente 416.
Anche se bisogna notare subito come il testo del successivo articolato concentri la sua attenzione quasi esclusivamente sulle imprese di stampa quotidiana e periodica e sulle agenzie di stampa. Anzi nel definire giuridicamente il prodotto editoriale l’estensore del testo ha avvertito la bizzarra esigenza di precisare che in esso è «compreso il libro», inserendolo come un inciso, in una frase (e in una legge) in cui evidentemente si intende soprattutto parlare di quotidiani, periodici, giornalisti, agenzie di stampa, e lavoratori poligrafici che evidentemente per il legislatore esauriscono le categorie che rappresentano il settore editoriale.
Ma sono ben altri gli articoli del Disegno di legge che confermano il convincimento che la benevola concessione contenuta nel titolo e nelle prime righe dell’art. l, così come i non molti interventi a sostegno anche delle imprese che producono libri, nascondono una ben più corposa attenzione riservata a un solo settore dell’industria editoriale dei contenuti: quella dei giornali, dei periodici e delle agenzie di stampa. Ad esempio là dove viene istituito (art. 13) un Fondo per la mobilità e la riqualificazione professionale. Un aspetto fondamentale per le imprese nel fronteggiare i complessi processi di riqualificazione delle risorse umane presenti in azienda di fronte all’impatto che la new economy ha sul settore editoriale. Ma il Fondo è destinato esclusivamente a «interventi di sostegno» a favore di dipendenti di imprese editrici di giornali quotidiani, di periodici e di agenzie di stampa che abbiano dichiarato stato di crisi: «giornalisti» e «poligrafici» considerati evidentemente dal legislatore come uniche categorie professionali presenti nel settore dell’industria editoriale dei contenuti. Introducendo di fatto una discutibile discriminazione che riguarda il futuro occupazionale dei lavoratori del settore: chi lavora nei giornali (anche di partito) o nelle agenzie di stampa ha l’opportunità di accedere a fondi per frequentare corsi di riqualificazione e aggiornamento professionale così da rientrare successivamente nel mercato del lavoro con nuove e aggiornate competenze. Opportunità che non viene riconosciuta (nonostante l’art. l) agli altri lavoratori del settore editoriale.
Tutto questo appare più evidente quando si considera la destinazione dei fondi previsti: il 64,7 % nel primo anno (il 48,8% il secondo e il 28,5% il terzo) è riservato esclusivamente a case editrici di quotidiani e periodici, agenzie di stampa, giornalisti e poligrafici. Imprese, e figure professionali, che naturalmente possono accedere anche allo stesso titolo di tutte le altre alla quota restante dei fondi per innovazione, promozione della lettura, ecc.
Ma è difficile trovare traccia di un altro aspetto che pure era stato indicato come uno dei «punti nodali dell’intero disegno»: al «sostegno della lettura» (art. 5, comma 6) vengono destinati in tre anni poco più di 2 ,5 miliardi avendo perso per strada tutta una serie di indicazioni che pure erano state portate all’attenzione dei Tavoli, condivise tra le parti presenti, e che pure erano contenute ancora nel documento conclusivo di Sintesi dei lavori: «Va perseguita» – si leggeva – «La riqualificazione di funzioni e strutture delle biblioteche e dei centri pubblici di lettura; vanno altresì allestite campagne di sensibilizzazione e di informazione istituzionale per promuovere la diffusione del libro e del giornale» così come veniva indicata quale misura di carattere normativo di sicura utilità la necessità di apposite detrazioni agli insegnanti per l’acquisto personale di libri o per gli abbonamenti dagli stessi sottoscritti a quotidiani e/o periodici.
Dunque l’editoria libraria – un settore che comprende non meno di 2 mila imprese tra grandi e piccole, dà lavoro a circa 20 mila addetti e ad altri 18 mila nell’indotto della filiera (elaborazioni su dati Istat, Censimento intermedio dell’industria 1996), realizza un giro d’affari tra libri e prodotti editoriali su supporto digitale di 6.400 miliardi di lire – appare qui sostanzialmente come un’ «ivi compresa» all’interno di un’industria dei contenuti che per il legislatore si esaurisce in quella dell’editoria quotidiana e periodica ritenuta ben più importante in termini di consenso in climi diffusamente pre-elettorali.
 
2. Non meno illuminante da questo punto di vista è l’esame dell’altro provvedimento frutto dei lavori della Commissione nazionale del libro ricostituita nel gennaio 1997 dall’allora Ministro per i beni culturali Walter Veltroni per giungere a definire una proposta di legge organica sul libro e la lettura. Anche qui le principali tappe dei lavori sono state riportate nella Tabella 2. Come si vede in questo caso non si è neppure giunti alla presentazione di un Disegno di legge pur esistendo una Bozza di disegno di legge sull’editoria di elevato valore culturale e sulla promozione del libro e della lettura (di 13 articoli). Lo stesso Forum che il 17 luglio scorso Giovanna Melandri ha indetto a Roma non ha chiarito molto circa i tempi di presentazione (e i fondi disponibili); piuttosto è servito per informare la stampa che anche il Ministro dei beni e delle attività culturali ha intenzione di presentare una legge che riguarda libro ed editoria.
Una bozza su cui vi è un solo sostanziale punto di disaccordo tra due delle associazioni di categoria maggiormente interessate: Aie ed Ali. TI punto riguarda le vendite per corrispondenza: mentre l’associazione degli editori ritiene che tutti i libri venduti per corrispondenza vadano esclusi dalla regolamentazione del prezzo, i librai ritengono che l’esenzione debba esser limitata alle sole edizioni non destinate alla libreria, e quindi alle sole edizioni realizzate appositamente per il book club.
Naturalmente non è possibile conoscere le posizioni di altre componenti interessate a questa parte di articolato sul prezzo fisso. Ad esempio quelle della grande distribuzione che nel 1996 aveva portato davanti all’Antitrust, presieduta dall’attuale presidente del Consiglio Giuliano Amato, l’accordo siglato tra Ali, editori e distributori proprietari di Mach 2 che tentava di regolamentare le troppo libere politiche di prezzo attuate da ipermercati, Coop, supermercati, e grande distribuzione in genere. Accordo, come ben ricordano i lettori di Tirature, sanzionato dall’autorità Antitrust, che di fatto ha finito per ratificare una situazione che nel nostro mercato si andava creando di «prezzo fisso deregolamentato». La stessa Mondadori ha fatto sapere attraverso un’intervista a Gian Arturo Ferrari («La Repubblica», 16 luglio 2000, cioè il giorno prima del Forum) che il tetto di sconto massimo dovrebbe essere del 15 % (contro il 10% indicato nella Bozza): un «tetto che non danneggia la grande distribuzione, l’unico mercato librario in espansione» e che quindi «potrebbe soddisfare le esigenze dei supermercati senza penalizzare le librerie».
La Bozza di disegno di legge sull’editoria di elevato valore culturale e sulla promozione del libro e della lettura non tratta solo di «prezzo del libro». Come è noto prevede iniziative a sostegno delle biblioteche attraverso l’adeguamento del loro patrimonio, l’istituzione di un «fondo per l’incentivazione della produzione, distribuzione e commercializzazione dei prodotti editoriali di elevato valore culturale», di piani di apertura di librerie o di ristrutturazione di altre esistenti, di iniziative di sviluppo dell’export librario italiano, di misure di sostegno ad autori e traduttori, di agevolazioni fiscali per l’acquisto di libri, di un thesaurus della letteratura italiana, ecc. Ma se nel provvedimento della Presidenza del Consiglio, l’editoria libraria è un «ivi compresa», qui l’industria editoriale (come ben mostra il titolo) tende a ridursi a quella che produce e diffonde opere «di elevato valore culturale» (con tutti i problemi che poi una definizione di questo tipo pone in fase di politiche attuative della legge).
Più in generale dobbiamo constatare come in questi anni i governi e le forze politiche non siano stati capaci – nonostante gli impegni e gli annunci fatti e la ricchezza di contributi di riflessione che sia l’Aie sia l’Ali (ma anche altre associazioni di categoria, ed esponenti di forze politiche) sono state sollecitate a produrre – di presentare un benché minimo progetto di legge organico e compiuto che abbia per oggetto il libro, la promozione della lettura, l’internazionalizzazione, lo sviluppo di un moderno sistema di biblioteche scolastiche e di pubblica lettura, ecc. E anche provvedimenti specifici non hanno avuto iter più felici. Lo stesso Disegno di legge recante Nuove norme di tutela del diritto d’autore che aveva iniziato il suo cammino legislativo nell’ormai lontano 1996 (Tabella 3) ha impiegato la bellezza di quattro anni per concludere l’iter parlamentare: e questo nonostante il fenomeno della fotocopiatura abusiva rappresenti per le aziende del settore una perdita annua stimata in non meno di 450 miliardi di lire, e una ventina di miliardi annui di mancato gettito per l’amministrazione dello Stato. I progetti di legge n. 11 8 e n. 483 Norme per la vendita a prezzo fisso dei libri sono stati assegnati alla Commissione attività produttive e Il giacciono.
La premessa alla base del processo di revisione legislativa avviato nel 1997 era la constatazione – già allora non più rinviabile – che l’orizzonte che si stava aprendo per tutto il settore editoriale dei contenuti (dalla produzione alla distribuzione, dall’editoria libraria a quella dei periodici e dei quotidiani alla nascente editoria off-line, ecc.) si caratterizzava per la caduta dei tradizionali confini tra imprese, tra i modelli di business, e tra i relativi prodotti, e il ritardo con cui il legislatore stava affrontando questo processo veniva individuato come una delle cause delle debolezza del settore editoriale nello scenario della competizione internazionale. A tre anni di distanza non si può fare a meno di osservare come in realtà siano state marcate in modo ancor più netto le differenze tra i diversi settori dell’industria editoriale dei contenuti, e all’interno di questi tra libri e giornali e tra chi li produce, quasi che ai giornali, e non anche ai libri o ai prodotti editoriali su supporto digitale, fosse prevalentemente assegnata la funzione, sicuramente vitale per una società libera e aperta, di garantire il pluralismo culturale; e tutto ciò con il sostegno dello Stato, che non può privilegiare il pluralismo di un mezzo e di un formato editoriale rispetto ad altri.