Le metamorfosi di Topolino e Paperino

Per la Disney Italia il 2002 è stato caratterizzato dalla nascita di «X-Mickey», mensile dedicato alle avventure del razionale Topolino nel mondo del paranormale, e dalla rifondazione di «Pk», mensile nato nel 1996 come versione cyberpunk di Paperinik, doppio eroico dello sfaticato Paperino. In entrambi la strategia editoriale sembra essere analoga: usare protagonisti noti e amati per lanciarsi verso nuovi generi e aprire nuovi fronti in linea con i gusti delle ultime generazioni. Il tutto senza spiazzare il lettore abituale.
 
Da qualche anno la Disney Italia, una delle realtà più creative della multinazionale americana nel campo del fumetto, sta lanciando una serie di nuove proposte editoriali il cui scopo sembra quello di rispondere all’offerta di origine giapponese, a sua volta forte dell’appoggio del prodotto televisivo e sempre più affermata tra il pubblico adolescente e preadolescente. In questo sforzo il 2002 è stato un anno importante: ha segnato infatti la nascita, datata 1° maggio, di «X-Mickey», mensile dedicato alle avventure del razionale Topolino nel mondo del paranormale, e la rifondazione, datata 1° agosto, di «Pk», mensile nato nel 1996 come versione cyberpunk di Paperinik, doppio eroico dello sfaticato Paperino.
Concepiti per un pubblico diverso, specie per età, da quello dei periodici Disney già affermati, entrambi i mensili li affiancano senza sostituirli: sopravvivono infatti sia «Topolino», settimanale che, pur senza essere dedicato esclusivamente al roditore-investigatore è il luogo deputato alla pubblicazione delle sue nuove avventure, sia «Paperinik», mensile che antologizza, aggiungendo alcune storie nuove, le migliori avventure dell’eroe mascherato. Al di là dei risultati, ancora lontani da una chiara definizione, entrambi i nuovi periodici mostrano una serie di novità, sia sul piano della sceneggiatura sia su quello iconografico, che meritano alcune, pur necessariamente brevi, considerazioni.
Iniziamo con «Pk», decisamente più innovativo di «X-Mickey» e tormentato da una complessa storia editoriale che esemplifica bene le difficoltà incontrate dalla Disney nel ridefinire il proprio universo e il proprio pubblico. La prima serie di «Pk» può vantare cinquanta uscite, dal 1996 al 2000, che delineano un mondo ben preciso, disegnato con cura nei contorni del genere cyberpunk. Come sfondo, una Paperopoli fatta di alti grattacieli e atmosfere spesso cupe, una metropoli moderna, dai tratti futuribili, priva delle vedute tradizionali: il deposito di Paperone e la villetta di Paperino, alla cui sparizione si accompagna, come vedremo, quella dei personaggi carismatici abituali. Ad assecondare il cambiamento di scenario, l’evidente scarto a livello visivo: il personaggio di Pk non mostra eccessive differenze di tratto con Paperinik, ma tutti gli altri attori esibiscono debiti significativi con il cinema di fantascienza (da Blade Runner ad Alien), i manga giapponesi, i fumetti della Marvel e di Bonelli. Influenze riconoscibili anche nel trattamento di luci, colori e inquadrature. Rafforza infine l’immediata sensazione di trovarsi «altrove» rispetto alle classiche avventure di Paperinik la struttura delle tavole: abbandonata la scansione a sei vignette per pagina, si impongono con una certa regolarità i tagli orizzontali e verticali e si presentano addirittura situazioni in cui diventa difficile ristabilire l’ordine di sequenza delle vignette. Persino i balloon di testo non vanno sempre letti nel tradizionale ordine sinistra-destra o sopra-sotto.
Tutto ciò, pur essendo il marchio primo e più visibile della serie, è al servizio del mutamento delle storie e del genere, riconoscibile nello stravolgimento del sistema dei personaggi: resta infatti, come denominatore comune, il protagonista Paperinik-Pk, ma scompaiono, a parte qualche cammeo, zio Paperone, Paperina e i nipotini Qui, Quo e Qua. E il ruolo del deuteragonista che soccorre il supereroe è svolto, al posto di Archimede, da un’evolutissima intelligenza artificiale chiamata Uno, centro e motore della Ducklair Tower, avveniristico grattacielo di cui Paperino è guardiano-usciere. Oltre a Uno, la Ducklair Tower nasconde tutte le altre invenzioni hi-tech di Everett Ducklair, geniale scienziato ritiratosi nientemeno che in un monastero buddhista perché la sua creatività sfociava sempre più spesso in armi di distruzione micidiali. Proprio le armi costituiscono un ulteriore fattore di differenziazione: tanto strampalate e inoffensive (o prevalentemente difensive) apparivano quelle create da Archimede, quanto tecnologicamente plausibili e nocive si dimostrano quelle lasciate in eredità da Ducklair.
Per quanto riguarda gli antagonisti, il salto è dai criminali comuni (quando c’erano) ad alieni provenienti dal pianeta Evron: vampiri spaziali che si nutrono di emozioni, come la paura che incutono. Altre volte, a dar loro il cambio, compaiono avversari ipertecnologizzati come fuorilegge provenienti dal futuro o pirati informatici. Completano il quadro un nemico mediatico, Angus Fangus, che nei suoi servizi per canale 00 News rivolta ad arte i fatti per far apparire Pk come un pericolo pubblico, e un aiutante dell’eroe, Lyla, papera-droide che come copertura fa la giornalista a 00 News, ma in realtà lavora come tempoliziotta. Vigila cioè sui possibili guasti prodotti dai viaggiatori nel tempo non autorizzati.
Il quadro muta col nascere, nel 2001, della nuova serie, denominata «Pk2». In essa lo scenario, che in «Pk» svariava a volte in altri luoghi dello spazio e del tempo, coincide più decisamente con Paperopoli, mentre ad antagonista unico si erge Everett Ducklair, di cui viene svelata la provenienza aliena e che, tornato in città, si riappropria dei suoi averi, disattiva Uno e sfratta Pk. La serie, nata per dare nuova linfa a «Pk», propone in realtà pochi cambiamenti a livello d’immagine, riscontrabili soprattutto in un diverso trattamento degli sfondi, il cui contrasto viene abbassato in computer-grafica per dare maggior risalto alle figure in primo piano, mentre a livello della storia s’impone una maggior attenzione alla continuità diegetica, che va però a scapito della cura dei singoli episodi mensili. Ma dopo diciotto numeri «Pk2» cede il passo a un nuovo «Pk», che testimonia una decisa inversione di rotta.
Il primo numero del nuovo «Pk» s’intitola Un eroe per caso e segna un azzeramento sul piano delle storie che si spinge fino a coinvolgere la tradizione istituita nel 1969: Paperino, infatti, non è mai stato Paperinik, figura che nasce invece in questo episodio attraverso un’investitura burrascosa quanto comica. Dimensione, il comico, che significativamente riguadagna nella nuova serie un rilievo ben superiore alle strizzatine d’occhio cui era stato relegato. Un po’ meno drastici gli altri adeguamenti, come l’utilizzo di un tratto meno aggressivo e il completo recupero dei personaggi del primo «Pk», che qui rientrano in pieno nelle loro mansioni. Ritroviamo perciò come antagonisti principali di Pk gli evroniani, con l’apporto secondario e differenziato di Fangus, e come coppia deuteragonista Ducklair-Uno (il primo, assente, di cui viene rivelata da subito l’origine aliena, il secondo presente al fianco dell’eroe), supportata da Lyla. Viene ritoccato infine lo scenario, che ora è Paperopoli 2.0, una città la cui parte grattacieli-tecno è solo l’estensione moderna della Paperopoli tradizionale, cui è collegata da un ponte. E col cambio di scenario rientrano anche Qui, Quo, Qua e Paperone. Ci troviamo insomma di fronte a una soluzione intermedia, che sembra intesa a non spiazzare più di tanto né i lettori dei periodici Disney tradizionali, né il pubblico comunque conquistato nel tempo da «Pk-Pk2». Per quanto si può dedurre dai pochi numeri usciti al momento in cui scriviamo, la nuova formula smorza il tono cyberpunk per ricondurlo in un ambito fantascientifico più rassicurante. Un’operazione che si risolve in un presumibile abbassamento d’età del pubblico (che negli intenti dovrebbe oscillare tra i nove e i tredici anni) e che dovrebbe spazzare i problemi creati in precedenza dalla volontà di rivolgersi a lettori troppo eterogenei, considerata l’ampiezza della forbice di gusto che si determina nel passaggio intorno ai tredici anni.
Anche Topolino non è più quello di una volta, ma in «X-Mickey» i toni della svolta sembrano da subito più morbidi che in «Pk» e il target di pubblico programmaticamente più basso: tra i nove e gli undici anni. Non va dimenticato che la nuova pubblicazione nasce dopo l’esperienza, durata appena dodici mesi, di «Mickey Mouse Mistery Magazine», in cui Topolino si trasferiva ad Anderville ed era protagonista di avventure in stile hard-boiled. Anche qui, perciò, il passo indietro sembra non indifferente e lascia per lo meno intendere che l’operazione di «canonizzare» generi adatti a un pubblico più adulto, iniettandoli nell’universo Disney, sia in buona parte fallita. O quantomeno che abbia sofferto di dosature sbagliate.
Scendendo nel dettaglio, «X-Mickey» (nome ripreso dalla serie tv di mistero X-Files, cosa che ci dà immediate informazioni sia sul genere di riferimento sia sul fatto che i suoi richiami culturali andranno oltre l’universo autoreferenziale del fumetto), non presenta variazioni di tratto rilevanti rispetto a «Topolino». E anche la struttura delle sue tavole segue lo schema classico a sei vignette, pur abbandonandolo a volte per esigenze di ammodernamento più di tipo grafico che strutturale. È la sua idea di fondo, semmai, a essere rivoluzionaria: ribaltare il principio che innerva le investigazioni di Topolino, la logica, a favore dell’istinto. Per renderlo possibile, in «X-Mickey» si presuppone l’esistenza di una dimensione parallela, chiamata Paese-che-vai, o mondo dell’impossibile, al quale si accede solo attraverso Varchi dimensionali la cui collocazione cambia in continuazione ed è nota solo a speciali Accompagnatori.
Lo scenario, o almeno uno degli scenari, delle storie resta la Topolinia classica, all’interno della quale compare un misterioso quartiere vittoriano, che ospita, tra l’altro, il Topo Bianco, pub dove si incontrano gli Accompagnatori. Sono loro a scortare nel mondo dell’impossibile i Viaggiatori, ovvero le persone che hanno le caratteristiche morali per esplorarlo. Tra di essi, oltre a Topolino, vengono annoverati poeti e artisti, che hanno poi cercato di raccontarlo e raffigurarlo nelle loro opere: fantasmi, vampiri e altri mostri non farebbero insomma parte del nostro mondo, e il fatto stesso che il contatto tra Topolinia e l’universo del mistero (e della paura) sia limitato e occasionale sembra rassicurare i giovani lettori sulla tranquillità del loro quotidiano.
Decisamente interessante il sistema dei personaggi del nuovo fumetto. Anche se non spariscono del tutto Minni e gli altri caratteri dell’entourage di Topolino, il peso delle avventure grava sulle spalle dei nuovi arrivati. Che sono un «doppio» di quelli noti, a rafforzare la sensazione che ci troviamo «dall’altra parte dello specchio». Il nuovo compagno d’avventure di Topolino è infatti Pipwolf, un lupo mannaro molto simile nei tratti a Pippo, rispetto al quale è solo più peloso. E il suo Accompagnatore, ma più che come aiutante del protagonista si configura come motore delle storie, cui spesso fornisce avvio e propulsione con la sua goffaggine: niente di troppo diverso dal solito Pippo. Al suo fianco, con mansioni simili, Manny, guardiana della regolarità dei viaggi a Paese-che-vai, tratteggiata sull’aspetto e sul carattere di Minni. Gli antagonisti sono invece di volta in volta personaggi fantastici, caratterizzati da sfumature diverse di carisma, capacità di suscitare paura, bizzarria più o meno spinta verso la comicità. L’intento finale? Scardinare il fin troppo regolare universo di Topolino per creare storie impossibili in quel contesto.
In definitiva, la strategia adottata in entrambi i periodici appare analoga: usare protagonisti noti e amati per lanciarsi verso nuovi generi e aprire fronti in linea con i gusti delle ultime generazioni. Il tutto senza spiazzare il pubblico abituale della Disney. E cioè l’esatto opposto di quanto è stato fatto con «Witch», mensile creato nel 2001 per il pubblico adolescente femminile. In un chiaro tentativo di creare identificazione, «Witch» segue infatti le avventure di cinque personaggi nuovi e «umani», ragazzine dotate di poteri magici ma afflitte da problemi analoghi a quelli delle loro potenziali lettrici. Forse quest’ultima esperienza, fino a oggi vincente, si porrà come linea-guida delle prossime strategie Disney. Ma «Pk» e «X-Mickey», che pur nelle loro metamorfosi hanno ridotto sempre più l’impatto degli innesti innovativi trasformandosi quasi del tutto in varianti creative concepite per lo stesso pubblico di «Paperinik» e «Topolino», restano comunque i testimoni di un esperimento bizzarramente significativo.