Più metodo nell’insegnamento letterario

La necessità di aggiornare e ridefinire modalità e scopi dell’insegnamento della letteratura pone la questione dell’approccio metodologico e della relazione tra teoria e prassi nella didattica dell’italiano. Alle lacune dei manuali per il triennio, che non agevolano lo studente nell’acquisizione della capacità di orientarsi nella letteratura e di interpretare in modo autonomo e competente i testi, tentano di sopperire, benché con esiti alterni, nuovi manuali di teoria della letteratura appositamente pensati per l’università.
 
1. La prima traccia della prima prova scritta del nuovo Esame di Stato con cui attualmente si conclude il ciclo degli studi superiori offre agli studenti la possibilità di svolgere un elaborato, la cosiddetta analisi testuale, che – nelle intenzioni e nella sostanza – ha sostituito il classico tema di letteratura. Qualunque sia il testo da analizzare (poesia, prosa narrativa o saggistica), il dettato della proposta ministeriale appare a dir poco problematico. Le indicazioni operative che suggerisce, infatti, mostrano sfaccettature metodologicamente poco lineari, poiché richiedono allo studente di sviluppare, a partire da una accurata comprensione della lettera del testo, un’analisi tematica con non poche incursioni nell’ambito dell’interpretazione personale e persino nelle sabbie mobili del giudizio estetico, integrandola con una robusta batteria di quesiti anche molto specifici di netta impostazione strutturalistica (nozioni di metrica e versificazione, narratologia, analisi filologica) e concedendo un non meno ampio spazio a una corposa contestualizzazione storicistica tramite le richieste di approfondimento e collegamento intertestuale.
A fronte di consegne siffatte, impossibile stupirsi di fronte al costante calo di consensi riscossi in quattro anni da questa modalità di scrittura: solo uno studente dotato di una notevolissima strumentazione tecnica e una robusta impostazione teorica può permettersi di affrontare con serenità e completare, nelle sei ore della prova (che si riducono a non più di quattro nel corso dell’anno scolastico), l’analisi di un testo che, con tutta probabilità, legge per la prima volta.
 
2. La questione posta dall’analisi testuale non emerge solo perché contraddittoria rispetto all’oggettivo e meritevole sforzo compiuto con l’intero pacchetto di proposte della prima prova d’esame di offrire molteplici chance di svolgimento davvero alla portata di tutti. Essa, piuttosto, evidenzia in modo assai vistoso la necessità di una più complessiva ridefinizione delle modalità e degli scopi di insegnamento della letteratura e, quindi, dell’approccio metodologico al suo studio e della relazione tra teoria e prassi; si tratta di uno degli snodi focali dell’attuale dibattito scolastico, uno di quelli nei quali con maggiore urgenza si pone il problema della continuità didattica e della coerenza interna tra gli anni della formazione di base e quelli della specializzazione.
Peraltro, in questo caso non si è ripetuto quanto è avvenuto nel corso degli anni per quanto concerne la delineazione di un modello di competenza linguistica che sia più al passo con i tempi e che ha consentito un profondo ripensamento della pratica e dell’uso della scrittura nel corso dell’intero curricolo scolastico, promuovendo quella «scuola del lavoro linguistico» (R. Simone, La competenza linguistica, «ITER», a. Il, n. 5, maggio-agosto 1999), in cui l’uso del linguaggio non fosse più autoreferenziale, ma funzionale ai suoi scopi comunicativi ed espressivi. Al contrario, l’insegnamento della letteratura italiana – che continua a rimanere l’obiettivo primario del lavoro dell’insegnante di lettere – ha subito nei metodi e nei contenuti un’evoluzione che è stata segnata da discontinuità e incongruenze molto vistose e che ha finito per affidarsi quasi esclusivamente alla affermazione di pratiche didattiche comuni o di manuali in grado, in qualche modo, di «fare tendenza».
 
3. Mentre però nel biennio lo standard didattico, che prevede un approccio ai testi «per generi», supportato da una graduale istruzione di base sulle fondamentali nozioni di retorica e di tecniche dell’analisi testuale, sembra essersi ormai consolidato, ben più problematica appare invece la situazione al triennio. Qui la manualistica anche la più avveduta, nonostante l’indubbia varietà delle proposte e la qualità di molti dei materiali offerti, pare però incapace di offrire soluzioni davvero convincenti, che sappiano porsi al passo con una scuola reale fatta di un’ampia classe docente per lo più conservatrice e un sistema di studenti/recettori mutevole e spesso demotivato o orientato verso altri più accattivanti obiettivi di apprendimento. (Non va sottovalutata nemmeno la tradizionale lentezza del mondo scolastico ad assorbire le tendenze critico-metodologiche più innovative, come dimostra la sopravvivenza, con buoni esiti di vendite, di manuali datati come le vecchie antologie improntate a un rigoroso storicismo, quali i classicissimi Sapegno e Pazzaglia, o la proposta tardiva, in tempi recenti, di un corposo progetto antologico firmato da Cesare Segre e Clelia Martignoni Testi nella storia – che ha tentato un rilancio in grande stile del modello strutturalista, ormai in declino in ambito accademico.)
Basti pensare alle scelte operate dai manuali che hanno dominato il mercato editoriale nel corso degli anni novanta o che risultano emergenti in questo primo decennio del 2000.
A un estremo si collocano i voluminosissimi Guglielmino Grosser, Il sistema letterario, e Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria, Dal testo alla storia, dalla storia al testo, dalla cui lezione paiono quasi essere scaturite precise indicazioni proprio agli estensori delle tracce di maturità: si tratta infatti di opere che (come appare evidente sin dai loro titoli) si sforzano di coniugare, in una sorta di eclettismo metodologico e disciplinare, indagine strutturalista, storia letteraria ed ermeneutica testuale, con uno sforzo quasi enciclopedico che rasenta il «gigantismo» editoriale. (Si tratta di opere in più tomi ad esempio, il testo di Paravia, nella sua più recente edizione «gialla», ne prevede ben sette – che impongono agli acquirenti esborsi di notevole consistenza in tempi di contenimento della spesa scolastica.)
I risultati di questi manuali, peraltro encomiabili per completezza ed esaustività, sono allatto pratico discutibili soprattutto perché producono negli studenti un frustrante effetto di perenne inadeguatezza:

  • metodologica, sia per il fatto di vedersi nella costante impossibilità di assumere l’iniziativa interpretativa nei confronti di un testo sovraccarico di apparati e commenti già svolti, sia per non poterne ricavare un preciso orientamento e una definita linea di approccio alla letteratura;
  • cognitiva, per sentirsi quasi costretti, ma inevitabilmente incapaci, ad assorbire con lo studio l’enorme massa di informazioni proposte.

All’estremo opposto si colloca il recente Armellini-Colombo, La letteratura italiana che, quasi per reazione, si articola in una decina di volumetti, riducendo all’osso l’apparato di analisi del testo e i supporti tecnico-metodologici, e confinando la dimensione storico-letteraria a un manualetto a parte, una sorta di agile compendio, piuttosto esiguo se rapportato all’insieme dei materiali testuali offerti.
Il risultato, peraltro, non garantisce né la centralità del testo letterario, troppo spesso isolato nella pagina, né quella del lettore, abbandonato a se stesso nel confronto con testi oggettivamente difficili, lontani linguisticamente e concettualmente da lui: ne consegue una sorta di smarrimento “per difetto”, dove reperire le coordinate metodologiche risulta quasi altrettanto difficoltoso.
 
4. Più interessante pare essere la proposta del non più nuovissimo Luperini-Cataldi-Marchiani-Marchese, La scrittura e l’interpretazione, il cui progetto prende l’avvio da alcune delle più importanti acquisizioni ascrivibili all’opera di Remo Ceserani e Lidia De Federicis, Il materiale e l’immaginario, testo rivoluzionario per la didattica dell’italiano nella scuola media superiore negli anni in cui venne pubblicato. In particolare, di quel lavoro fa propria la «svolta coraggiosa in senso antistoricista, nella direzione di una critica tematica e di un approccio al passato ispirato ai criteri ibridismo e della contaminazione postmoderni» (Romano Luperini, Insegnare la letteratura oggi). L’ampio indice ne ricorda il carattere pluristratificato ed elastico, fondato sulla possibilità di «correlazione tra le strutture dell’immaginario, i sistemi retorico formali, i sistemi culturali e quelli materiali della produzione economica», ma mira a limitarne la dimensione, per così dire, di caos ordinato, per valorizzare piuttosto una impostazione più fortemente metodologizzata, in cui l’obiettivo sia quello dell’integrazione e dell’interazione organica tra i livelli.
L’obiettivo programmatico dell’opera è quello – come ha più volte sostenuto lo stesso Luperini – di valorizzare la lettura come «atto interpretativo e come attribuzione collettiva di senso da collocare nell’ambito di un progetto di civiltà come processo interdialogico e libero conflitto delle interpretazioni». In questa prospettiva esso fa proprie le istanze più convincenti della didattica modulare, una delle scommesse sinora mancate dei recenti progetti di riforma, spesso mortificata a mero strumento per sfrondare il vastissimo programma tradizionalmente oggetto dell’insegnamento dell’italiano nella scuola superiore, anziché essere valorizzata come proposta di didattica mirata non più all’accumulo per quanto sistematico delle conoscenze (insomma, uno studio knowledge oriented), bensì allo sviluppo del momento interpretativo. In questa direzione, nei suoi recenti saggi teorici Luperini, riferendosi al lavoro liceale, ha parlato non a caso della classe come «comunità ermeneutica», una sorta di umanistica learning society, e si dichiara pronto a scommettere proprio sul potenziamento del momento ermeneutico – benché opportunamente integrato e supportato da nozioni tecniche e da strumenti di contestualizzazione – come veicolo per un fattivo rinnovamento dello studio della letteratura.
La realtà della scuola è però ben diversa, sia perché la formazione degli insegnanti li rende ancora troppo sensibili a una gestione tradizionale dell’insegnamento della letteratura, gelosa di un canone cognitivo ormai difficilmente difendibile, sia per la sempre più marcata esiguità di spazi e tempi dell’insegnamento. Il resto lo fa la complessità della proposta della Palumbo, davvero costruttiva solo se fruita da gruppi classe di buon livello e di considerevole disponibilità intellettuale.
 
5. Dei limiti dell’insegnamento della letteratura italiana nel triennio superiore e della generica lacunosità della formazione metodologica (lo studente chiude il proprio ciclo di studi superiori possedendo per lo più nozioni, non competenze, che sono invece così necessarie per affrontare il lavoro universitario) pare aver preso coscienza il mondo accademico.
E non si tratta solo di sano pragmatismo, derivato dalla mera necessità di integrare le conoscenze in vista di una migliore resa agli esami: piuttosto, sembra un segno di attenzione proprio verso quella scuola reale, troppo spesso trascurata anche dalle istanze programmatiche del ministero.
Tale presa di coscienza, che sino a pochi anni fa non ha potuto fare appello che alle scarne appendici metodologiche di alcuni manuali per il triennio (ad esempio, i due tomi del decimo volume del già citato 11 materiale e l’immaginario, oppure il volume Questioni e strumenti, firmato da Hermann Grosser) dispone oggi di alcuni strumenti pensati specificamente per agevolare l’approccio storico-critico ai fondamenti teorici dello studio letterario, che operano una sorta di rialfabetizzazione sia tecnica sia motivazionale allo studio della letteratura.
Benché decisamente meritevoli di attenzione e di plauso, a questi manualetti è connesso inevitabilmente qualche rischio, legato per lo più al fatto che, per essere davvero utili, sono costretti a far convivere elementi tra loro molto diversi: le nozioni che afferiscono alla struttura dei testi letterari, alle norme bibliografiche e a concetti relativi alla composizione dei testi finalizzati a una operatività pratica, elementi e nozioni di metrica, retorica e narratologia, panoramiche (per lo più diacroniche) relative a metodi e modi della critica letteraria, della storiografia letteraria e delle istituzioni del letterario.
Le soluzioni adottate non paiono sempre convincenti (e raccolgono in misura proporzionale i consensi dei lettori/studenti e dei docenti che li guidano), specie quando sembra prevalere proprio l’intento formativo e di recupero. Ad esempio, Per studiare la letteratura italiana di Giuseppe Zaccaria e Cristina Benussi eccede nell’impostazione repertoristica e finisce per risolversi spesso in una lunga e non sempre utile rassegna di informazioni sommarizzate, ricche di riferimenti bibliografici non sempre immediatamente spendibili. Il nuovissimo Introduzione alla letteratura italiana di Mario Pozzi ed Enrico Mattioda, al contrario, concede uno spazio preponderante alla riproposizione di categorie storiografiche, periodizzazioni e ricostruzioni delle istituzioni letterarie in chiave rigorosamente diacronica. Con l’effetto di offrirsi come manuale da studiare, in chiave cognitiva, affiancandolo al lavoro antologico sui testi.
Quando invece prevalgono obiettivi più ampi, le proposte si fanno più convincenti ed efficaci, come avviene in La letteratura italiana moderna e contemporanea di Paolo Giovannetti. Il testo, oltre alla sinteticità mai pretestuosa e alla qualità dei contenuti, viene realmente incontro – come si legge nella prefazione – «a moltissimi allievi pesantemente bignamizzati, nonché vittime di troppi smontaggi acefali» (p. 12) che popolano le università, offrendo, oltre a robuste informazioni di tecnica della versificazione e della narrazione, un ampio e ben coordinato ventaglio di argomenti (dalla storia della lingua alla critica del testo, dai generi letterari ai metodi della critica sino ad alcune fondamentali istituzioni della letterarietà come i concetti di modernità, canone o post-moderno) in grado di agevolare fattivamente il percorso di acquisizione di autonomia nel processo di approccio alla conoscenza attraverso una corretta impostazione del learning. L’obiettivo sembra realizzare quanto ancora ipotizzava opportunamente Luperini per la didattica della letteratura nelle superiori, cioè la necessità di accedere all’analisi dei testi attraverso «manuali che, mentre pongono in adeguato rilievo il momento del conflitto delle interpretazioni, della ricerca e dell’attualizzazione dei significati e dei valori, forniscano quegli strumenti linguistici, storici e filologici che rendano possibile il rispetto dei “limiti dell’interpretazione”».