Luzi testimonial della cultura

L’attenzione alla dimensione del sacro e la costante partecipazione alle vicende civili hanno decretato l’elezione di Luzi a rappresentante della cultura italiana, e insieme l’implicito riconoscimento del ruolo della poesia nella vita civile. La sua esperienza intellettuale di poeta, scrittore di teatro, saggista, critico d’arte è l’incarnazione di una figura che sembra destinata a sparire: Luzi diventa così l’ultimo protagonista e custode di una lunga tradizione letteraria. Il ricorso alle parole del poeta permette di vedere il mondo con lo sguardo della poesia: ma questo spazio pubblico viene subito messo in discussione quando il poeta utilizza il linguaggio della politica.
 
La partecipazione e la rilevanza con la quale venne commentata sulla stampa la morte di Mario Luzi (il 28 febbraio 2005, all’età di novant’anni) indicano apertamente come il poeta avesse raggiunto un prestigio e conquistato un ruolo non solo in un ambito eminentemente letterario. Anche una semplice interrogazione dell’archivio storico del «Corriere della Sera» (ricerca superficiale, ma quantitativamente significativa) mette bene in evidenza le moltissime volte nelle quali il poeta compare, negli ultimi dieci anni, per le più varie ragioni. Ancora inserito meccanicamente dai manuali di letteratura sotto la voce “ermetismo” (linea poetica per convenzione preclusa alla comunicazione), Luzi è stato in realtà eletto a personaggio tra i più rappresentativi (e comunicativi) – vero e proprio testimonial (e non è fuori luogo, si vedrà, il ricorso al lessico pubblicitario) – della cultura italiana.
Abbandonando subito ogni possibile richiamo all’ermetismo (questo sì, fuori luogo, a distanza di settant’anni), si può invece indagare sulle modalità grazie alle quali un poeta come Luzi, assolutamente privo di accondiscendenze nei confronti di una discorsività poetica o dell’abbassamento della lingua della poesia in funzione di una più facile leggibilità, sia potuto diventare una figura pubblica.
Le occasioni più evidenti si possono ricondurre a due, di assoluto rilievo: la prima, del 1999, è la scelta di Giovanni Paolo II di affidare a Luzi i testi della Via Crucis per il Venerdì santo (che, annunciata dal «Corriere della Sera» il 24 febbraio, viene descritta e seguita da tutta la stampa in vari articoli) e la più recente nomina del poeta a senatore a vita (il 14 ottobre 2004). Nei due avvenimenti si saldano i tratti che contraddistinguono la figura di Luzi ai livelli alti della riflessione culturale – l’attenzione alla dimensione del sacro e la costante tensione alle vicende della vita civile – ma si manifestano, consapevolmente o meno, altri possibili spunti di lettura. Forse il primo tra questi è la riproposta della tarda età come tempo di conoscenze ampie e di esperienze sedimentate, punto di riferimento possibile in un momento di poche certezze e di molti sbandamenti: papa Woytila, da un lato, vecchio e malato ma saldo nella proclamazione dei valori cristiani; Carlo Azeglio Ciampi, dall’altro, difensore di una società fondata sulla civile convivenza di ideali diversi, e non sull’imbarbarimento dispiegato da una politica condotta come una campagna pubblicitaria, hanno trovato in Luzi una terza voce loro consona: quella della letteratura, anzi, della poesia, che, a fianco della religione e degli ideali civili, può essere indicata come guida per la conservazione di una civiltà appannata o sulla via del tramonto.
Non a caso, forse, molti dei titoli degli articoli hanno sottolineato la spinta alla “bellezza” che proviene dalla poesia, della quale Luzi, per il suo prestigio (che lo ha portato più volte alla candidatura del Nobel), da un lato, per la sua età (sempre ricordata), dall’altro, sembra essere l’incarnazione: se nelle cronache dell’incontro privato con Woytila (avvenuto il 20 maggio 1999) la stampa dava conto del dialogo sulla bellezza condotto tra il papa e il poeta, un titolo (del «Corriere della Sera» del 25 novembre 1999) ricordava: «Martini premia Luzi: “È il poeta della bellezza divina”».
L’elezione di Luzi a rappresentante della poesia italiana (e l’implicito riconoscimento del ruolo della poesia nella vita civile) è senz’altro il risultato di una scelta da ricondurre in buona parte (ma non solo, evidentemente) ai responsabili delle pagine culturali: in particolare, si è detto, del «Corriere della Sera», sul quale, per un decennio, sono costanti i richiami alle parole di Luzi, gli articoli da lui firmati, la presentazione dei suoi testi (soprattutto di quelli messi in scena), le informazioni sia dei premi ricevuti o di quelli nei quali è giurato, sia delle iniziative nelle quali è prevista la sua partecipazione. A proposito di premi, interessante la motivazione (riportata dal «Corriere») del Premio Pegaso d’oro, conferito dalla Regione Toscana nel giugno 1997: «Mario Luzi ha saputo reinterpretare le istanze etiche e civili dell’Umanesimo e del Rinascimento fiorentino ponendo al centro della scrittura del poeta e del critico, del drammaturgo e del traduttore un’autentica passione per il dialogo fra personalità e comunità, storia e natura, scienza e fede […] contribuendo all’educazione di intere generazioni». Sulla base dei caratteri qui indicati (sui quali naturalmente non si può che esprimere piena condivisione e, peraltro, non è questa la sede per un’analisi critica della figura del poeta) Luzi diventa in qualche modo l’ultimo protagonista della cultura ereditata da una lunga tradizione letteraria. E alla conservazione dei migliori caratteri della cultura italiana si richiamano anche i tanti interventi pubblici (appelli, tavole rotonde, dibattiti) in difesa della lingua italiana, nei quali il nome di Luzi compare.
La pienezza dell’esperienza intellettuale del poeta, dello scrittore di teatro, del saggista, del critico d’arte è l’incarnazione di un ruolo che sembra destinato a sparire. E una volta affermata l’importanza di Luzi e del suo ruolo, il ricorso alle sue parole permette di vedere le vicende del mondo con lo sguardo della poesia: da qui anche la pubblicazione (peraltro, necessariamente, limitata), sulle pagine del «Corriere della Sera», di versi inediti. E tuttavia interessante notare che anche attraverso le poesie pubblicate sul quotidiano si manifesta l’altro tratto che si vuole affidare alla figura del poeta: quello dell’impegno civile. Non estraneo alla propria realtà, il poeta, pur non essendo più (e soprattutto non volendo più essere) il “vate” alla Carducci o alla D’Annunzio, è ancora il portatore, per la sensibilità riconosciuta ai poeti (ma, si è detto, anche per la sua età e per la sua esperienza intellettuale) di un punto di vista che può sollecitare ai lettori una maggiore consapevolezza della dimensione dell’essere (come in Cosmografia improvvisa, pubblicata il 18 novembre 1998, o in Dopo la prova, del 19 luglio 1992, o ancora in Un minuto nel tempo, del 10 agosto 1999) o di quanto stia accadendo nel mondo e nella società italiana in particolare: come nei versi di Scelus, presentati il 27 marzo 2003 con queste parole: «Scelus è il titolo di una poesia inedita che Mario Luzi ha scritto per il “Corriere della Sera” in questi giorni di terribile tensione nel mondo. Il grande poeta affronta nei suoi versi il tema complesso della guerra e della pace. Quello di Mario Luzi è un atto d’accusa vibrante e senza appello, che allude alla speranza solo nella citazione finale riguardante il Papa».
La presenza di Luzi nelle vicende culturali dell’ultimo decennio è caratterizzata, si potrebbe dire, da un crescendo di notorietà, così che non stupisce un titolo del 12 aprile 2000: Luzi parla di poesia e fa il tutto esaurito. Stupisce forse maggiormente, ma è appunto la conferma dell’importanza sociale assunta dal poeta, il seguente titolo (dal «Corriere della Sera» del 6 dicembre 2000): Siena capitale del gusto. Jovanotti e il poeta Luzi testimonial del cibo sicuro. Di lì a pochi giorni, peraltro (il 3 gennaio 2001), il giornale avrebbe annunciato che un gruppo di poeti (Luzi, Zanzotto, Sanguineti, Spaziani) avrebbero percorso la Sicilia in treno «per leggere dei loro versi ai viaggiatori sui tragitti Catania-Messina-Palermo o Catania-Siracusa».
Attraverso la ricorrente presenza di Luzi nel quadro complessivo delle vicende culturali italiane ci si potrebbe interrogare sulla tendenza evidente a ridare uno spazio pubblico alla poesia. Questo spazio, che chiunque è disposto a richiedere e concedere con magnanimità, viene subito messo in discussione quando il poeta non utilizza più il linguaggio della poesia ma quello della politica. Gli ultimi articoli dedicati a Luzi prima della sua morte non riguardano quasi più il suo ruolo intellettuale, ma danno conto della separatezza tra una parte della società italiana (ben rappresentata da alcuni che governano) e la civiltà della quale Luzi era stato eletto portavoce. Avendo manifestato Luzi una posizione non favorevole al governo di centrodestra e al suo premier, non sono poche le reazioni contro di lui. Ne basti una, del ministro Gasparri, così riassunta dal «Corriere della Sera» del 28 novembre 2004: «Da Chianciano, dove è in corso “Futurdestra”, la convention di Destra protagonista, il ministro delle Comunicazioni, riferendosi al poeta fiorentino, ha detto: “Non so quali poesie scriva, dice solo sciocchezze. Era meglio, come aveva suggerito Fiorello, nominare senatore a vita Mike Bongiorno”». Come giustamente ci ammonisce ogni giorno la testata dell’«Osservatore romano»: «Unicuique suum».