Il caso Piperno-Proust

Il sostegno entusiasta di alcuni estimatori autorevoli non basta a spiegare il successo di massa di Con le peggiori intenzioni. Il caso Piperno conferma che sono i libri che riescono a incontrare i gusti di lettura di ampie fasce di pubblico a diventare bestseller. La Bildung mancata del giovane Sonnino risponde al desiderio diffuso di letterarietà e moderata trasgressione riprendendo elementi della grande tradizione novecentesca aggiornati in chiave accortamente manieristica. Piperno dà vita a una narrazione che si compiace della propria raffinata monotonia, ma funziona perché coniuga leggibilità e sostenutezza letteraria.
 
Secondo me, Con le peggiori intenzioni è un libro nient’affatto trascurabile, da apprezzare per vivacità intellettuale, larghezza di orizzonti, garbo espositivo. Solo che, come romanzo, mi pare un po’ noioso. Le fisionomie dei vari membri della famiglia Sonnino, nonni figli nipoti nonché amici e soci, non riescono ad appassionarmi; le loro peripezie lungo alcuni decenni non mi restano abbastanza impresse; e la scrittura, pur elaborata con finezza, mi sembra tendere alla logorrea.
So bene che molti altri lettori, anche dei più qualificati, la pensano diversamente e vedono nel giovane Alessandro Piperno una personalità da idoleggiare senza riserve. Ma simili dispareri sono nella norma, e del resto c’è solo da rallegrarsi, oggi come oggi, se un libro suscita un qualche dibattito, vivacizzando un clima culturale alquanto asfittico. Semmai c’è da notare che il confronto delle idee su Con le peggiori intenzioni è rimasto stentato: tanto che per rianimarlo si è escogitato di contrapporre al romanzo di Piperno quello di Tommaso Pincio, La ragazza che non era lei, affibbiando all’uno un segno ideologico di destra, all’altro di sinistra. Lo scarso buon senso di questa antitesi artefatta lascia proprio interdetti.
La vera questione non sta però nel fatto che Piperno abbia avuto un buon numero di estimatori più o meno autorevoli. A sconcertarmi è che si sia trattato di un successo di massa. Perché a un’opera che raggiunge le vette delle classifiche d’incasso si potranno affibbiare gli epiteti più insolenti, brutta cattiva volgare sconclusionata balorda: ma noiosa no, questo mai. C’è qualcosa di strano nel caso Piperno, di poco frequente. E vero che i fenomeni di bestsellerismo non sono mai facili da spiegare analiticamente: non ce ne sono due che si rassomiglino davvero. E per illuminare le ragioni peculiari della loro fortuna bisogna lasciar perdere il proprio personale punto di vista critico, adottando l’ottica mentale di coloro ai quali il tal bestseller è piaciuto: cosa ci hanno trovato di diverso, di irripetibile, di entusiasmante, tanto da sbaragliare tutta la concorrenza? Mettersi nella pelle dei destinatari elettivi di un libro di successo è un esercizio mentale delicato e insidioso, per il quale occorrono pazienza e buona volontà.
Preliminarmente però bisogna distinguere tra due categorie di successi: quelli che provengono dall’alto e quelli che insorgono dal basso. I primi poggiano sull’apprezzamento delle élite colte, i cosiddetti “detentori del gusto”, che sono in grado di influenzare con i loro giudizi favorevoli il comportamento dei lettori più inesperti, persuadendoli ad accettare anche prodotti di non agevole digestione: Il nome della rosa è un bell’esempio in proposito. I successi del secondo tipo prendono corpo molecolarmente dal passaparola, senza e magari contro il responso dei lettori professionisti. Siamo nel campo di una produzione neopopolare che nel sistema letterario attuale assolve una funzione analoga a quella dell’appendicismo d’una volta. Un titolo esemplare è offerto da Va’ dove ti porta il cuore.
Con le peggiori intenzioni appartiene evidentemente alla prima categoria. Non per nulla ha potuto valersi dello strepitoso battage orchestrato da alcuni reputati opinion makers della carta stampata e del piccolo schermo. La loro sicumera era irritante ma aveva un’efficacia promozionale elevata, in quanto appariva in sintonia con criteri di gusto accessibili alla fascia intermedia del pubblico librario: lettori non molto sofisticati ma non disattenti alla qualità della scrittura, disponibili alla trasgressione anticonformista purché non ne sia compromesso il culto delle Belle Lettere.
Il libro d’esordio di Piperno sembra fatto apposta per incontrare un desiderio diffuso di modernità moderata, attraverso la ripresa di elementi tipici della grande tradizione novecentesca, aggiornati in chiave accortamente manieristica. L’ingrediente basilare di Con le peggiori intenzioni è tutt’altro che inesplorato internazionalmente, anche se in Italia è ancora poco sfruttato: il folclore etnico della borghesità ebraica, rivisitato con l’ottica del dopo Olocausto, con un alleggerimento della carica di pathos insita nel nesso di uguaglianza e diversità postulato dall’essere ebraico. Nel libro non mancano vari opportuni riferimenti al conflitto israelo-palestinese. Ma in complesso l’identità ebraica non è davvero messa in causa: prevalgono i cenni a usi e costumi più o meno pittoreschi, con il ricorso a termini e modi di dire bellamente tradotti in nota.
Si può osservare che a far spicco nel racconto è per l’appunto l’identità sfuggente del narratore-protagonista, con la sua incapacità di farsi responsabilmente adulto. Ma il ritratto di Daniele Sonnino riprende la caratterologia di una delle figure più note del romanzo novecentesco: l’inetto, il perdente, l’immaturo a vita. E la coloritura fisionomica riguarda soprattutto la psicopatologia sessuale: si tratta di un maniaco feticista, dedito all’onanismo con il supporto di qualche paio di calze o mutandine femminili. I contorcimenti nevrotici del giovane Sonnino, alle prese con una coetanea di falsa innocenza, sono illustrati con proprietà. Ma si tratta di materia che ormai riserba scarse sorprese: a meno di ricorrere al clamoroso colpo di scena da melodramma, come nel finale del libro.
D’altronde qui l’autore voleva giustamente dissolvere l’aura di struggimento conferita al racconto dall’evocazione memoriale condotta dall’io narrante pseudoautobiografico. L’andamento retrospettivo della narrazione e la policromia dell’affresco dedicato alla buona società romana d’un tempo hanno fatto spendere il nome di Proust: ma anche se Piperno fa di professione il francesista, la sua recherche ha un effettismo spettacolare lontano dalla grazia inarrivabile della pagina proustiana. Vero è piuttosto che Con le peggiori intenzioni si collega al revival attuale per la stagione del secondo dopoguerra, vista come gli anni del boom, del benessere, della gaiezza edonistica, magari irresponsabile e imprevidente ma animata da una vitalità generosa. Un motivo di fascino del libro è senza dubbio la riscoperta di un passato non mitico ma mitizzabile: l’epoca del postfascismo, dopo il termine del conflitto mondiale e prima delle convulsioni di fine secolo.
Però, questa esigua età dell’oro Piperno non la rappresenta da un punto di vista socioeconomico, che sarebbe stata operazione davvero originale. Assai più delle imprese affaristiche sono quelle erotiche a interessarlo. La saga familiare dei Sonnino si flette secondo una parabola discendente di crisi della virilità: dal nonno Bepy, gran puttaniere, al nipote Daniel che con le donne è un disastro. Ma allora Con le peggiori intenzioni è un libro cupo, angoscioso? No, i motivi di turbamento ci sono, eccome, ma la mestizia funeraria viene fronteggiata dall’ironia, che nelle parole del narratore protagonista è anche e soprattutto autoironia. Quanto l’io narrato è ingenuo goffo imbranato, tanto l’io narrante è lucido e beffardo. Il guaio è che il suo senso del ridicolo gli si ritorce contro. Così lo vediamo accanirsi nel mettere sotto processo il se stesso di un tempo, senza peraltro riuscire mai a illuminare le cause profonde di comportamenti che oggi gli appaiono dissennati.
La sovrabbondanza di interrogazioni prive di risposta è un tratto saliente della scrittura di Piperno, nel suo piglio effusivo, tra la confessione e la chiacchiera. Lo scrittore inclina a una sorta di sostenutezza cordiale, dove l’eleganza letteraria è contrappesata dagli scoppi di sguaiataggine e alle fraseologie ricercate si accompagnano le giaculatorie delle oscenità. Ad accentuare la piacevolezza del flusso discorsivo provvede poi l’ostentazione di familiarità disinvolta dell’io narrante, sia verso i personaggi coi quali interloquisce sia verso i lettori: dà del tu a tutti, come in una conversazione coinvolgente perché inter pares. Anche se in definitiva la voce dominante è assolutamente la sua.
Riconosciuto che Piperno ha qualità di scrittore vero (non come i vari Faletti, Avoledo, Biondillo), va rilevato tuttavia che il suo stile coniuga la leggibilità con la monotonia. Con le peggiori intenzioni è un romanzo poco dialogico e la pagina scorre via con un accento uniforme, quasi tutto e tutti fossero messi sullo stesso piano: pochi sono gli episodi sceneggiati con icasticità memorabile. Può venire alla mente la classica distinzione tra narrare e descrivere: anche se di cose ne succedono tante, Con le peggiori intenzioni è il contrario di un romanzo d’azione. Non per nulla sono così frequenti le enumerazioni e le ripetizioni e variazioni, le locuzioni dubitative o asseverative. Gli è che il punto di osservazione è irrequietamente immobile.
La realtà della storia di Daniel si proietta fuori dello scorrere del tempo, in un altrove stagnante: è finita l’adolescenza ma non ha preso avvio la maturità. In questo senso, il libro d’esordio di Piperno è il romanzo di una formazione, una Bildung, mancata. Il giovane scrittore riprende una tipologia di genere che nel secondo Novecento italiano ha avuto uno sviluppo straordinario, a compenso del ritardo storico con cui era stata adottata. Ma lungo il secolo ventesimo questo modello romanzesco ha cambiato segno, dal positivo al negativo. Il processo di crescita organica che porta l’io fanciullo a divenire adulto appare un’impresa impossibile. La socializzazione dell’io, nell’età di passaggio, si converte in desocializzazione. E il rapporto con l’altro sesso, quale si profila alla fuoruscita dall’ambito familiare, diviene lo scenario decisivo per il fallimento del desiderio di entrare in comunione feconda con il tu inattingibile dell’essere femminile. Lo sapevamo ormai; ma molti sono disposti a risentirselo dire, quando a esprimersi è uno che ci sa fare come Piperno.