Una Pimpa per le bimbe

Creata da Altari nel 1975 per la figlia Chicca, la Pimpa è uno dei primi fumetti nostrani per l’infanzia ad adottare una prospettiva bambinocentrica. La realtà è vista dagli occhi di un’intraprendente cagnetta a pois rossi, il cui estro fantastico si diverte ad animare ogni essere o oggetto dell’ambiente circostante. Quello di Pimpa non è un gioco gratuito proiettato verso l’evasione, ma un itinerario conoscitivo, teso alla scoperta del mondo e alla ricerca delle relazioni con gli altri. Del resto Pimpa non è sola, non solo perché sa farsi molti amici ma perché sa di avere un papà pigro eppure comprensivo e giocherellone, pronto ad accoglierla alla fine di ogni avventura.
 
Altan è l’autore di personaggi beffardi e ironici come Trino e Cipputi, è il noto vignettista satirico collaboratore di riviste e quotidiani ma è anche il «papà» della Pimpa, la tenera cagnolina a pois creata nel 1975 per la figlia Chicca. Anzi, per una fascia di lettori è soprattutto il creatore della Pimpa: ci si riferisce al pubblico dei più piccoli, delle generazioni di bambine e bambini che da un trentennio prediligono le storie colorate e divertenti della cagnolina e, in sua compagnia, muovono i primi passi nel mondo del fumetto e forse anche della lettura.
Dal 1975 in poi la carriera della Pimpa è stata segnata da un successo costante e, a quanto pare dai dati editoriali, tuttora in crescita. Apparsa per la prima volta sul «Corriere dei piccoli», la Pimpa ha conquistato un ruolo di primo piano nel mondo del fumetto per bambini, sino a diventare la protagonista di un periodico a lei dedicato, che, nato nel 1987, pubblicato dal 1994 da Franco Panini Ragazzi, è ancora oggi distribuito nelle edicole.
Di più: il personaggio ha sfondato il campo del fumetto, adattandosi a canali molteplici: dal giornalino al libro illustrato, dal cartone animato televisivo al cd rom, passando anche attraverso il teatro e il circo.
Oggi il catalogo della Franco Panini intitola al personaggio della Pimpa un repertorio di proposte assai ricco e variegato: non solo il già citato periodico ma anche libri di vario formato, brossurati e cartonati, albi da colorare, pubblicazioni didattiche, librigioco e giochi veri e propri (puzzle, casette e memory). A partire dal 1982 Altan ha lavorato, inoltre, a una serie di 26 filmati di animazione di cinque minuti con il personaggio della Pimpa. La serie, prodotta dalla Rai, ha segnato l’esordio televisivo della Pimpa ed è stata seguita, più di un decennio dopo, da una ulteriore serie di produzione italo-spagnola, che, acquistata da altre televisioni di paesi europei ed extraeuropei, ha aperto la strada al successo internazionale del personaggio.
Camaleontica e reversibile in vari circuiti comunicativi, la Pimpa non ha dimostrato preferenze esclusive per il piccolo schermo, dalla tv al pc: ha ispirato spettacoli teatrali e anche uno spettacolo circense, allestito, in collaborazione con il Teatro dell’Archivolto di Genova, per festeggiare il suo trentesimo compleanno nel 2005. Nello stesso anno Pimpa viene eletta personaggio dell’anno all’edizione del premio Andersen – Il mondo dell’infanzia, a suggello di una serie di altri riconoscimenti.
E, tra tale varietà di proposte e successi, resiste, anzi persiste e cresce la fortuna del giornalino che, come suggerisce l’editore, ha oggi una tiratura di 60mila copie senza pubblicità alcuna: segno che la Pimpa è, soprattutto, un fumetto riuscito, forse l’unico fumetto nostrano per la prima infanzia capace di tener testa agli eroi disneyani.
Del resto, alla metà degli anni settanta, quando la cagnolina venne alla luce, il panorama italiano delle proposte editoriali specifiche per il pubblico infantile di età prescolare, target privilegiato della Pimpa, era poco vario anche nel settore del fumetto. Le storie avventurose o le comic strips si rivolgevano prevalentemente a un pubblico infantile di età scolare o addirittura adolescenziale e solo il mondo degli eroi disneyani risultava, se non specificamente mirato, almeno accessibile al pubblico dei più piccoli. D’altra parte, agli inizi degli anni settanta erano da poco cadute, nel nostro paese, le riserve che scrittori per l’infanzia, pedagogisti ed educatori avanzavano nei confronti dei fumetti e cominciava a farsi strada faticosamente la tendenza a valorizzarne le potenzialità pedagogiche e didattiche.
Ideata quasi per caso e al di fuori di intenti pedagogici programmatici, la Pimpa appare subito protesa in avanti rispetto a tali timide aperture; si presenta, infatti, connotata da tratti di originalità spiccata. Innanzi tutto è un personaggio femminile. Non un cucciolo o un cane ma una cagnolina. Una volta tanto, nel mondo degli eroi di carta il personaggio femminile non funge da spalla ma assurge al rango di protagonista. Come si conviene ai personaggi fiabeschi e delle storie disegnate, la Pimpa non ha una vera famiglia, è una trovatella: ma ha la fortuna di imbattersi subito in un padrone affettuoso, una sorta di «papà»: ecco Armando, anche lui non un eroe ma un simpatico everyman, un impiegato pigro e pacifico di mezza età.
Al centro delle storie, quindi, campeggia non una coppia di coetanei e neppure una comunità di personaggi umani o animaleschi ma una coppia insolita, una specie di padre e una quasi-figlia. Naturalmente il motore dell’avventura consiste quasi sempre nell’iniziativa intraprendente ed estrosa della cagnolina che decide gite al mare o in campagna, viaggi spettacolari, passeggiate nel bosco ma dà anche vita, talvolta, a giochi fantasiosi e trovate stravaganti tra le mura domestiche. Armando qualche volta le fa compagnia ma più spesso preferisce sonnecchiare sulla poltrona o è costretto a uscire per assolvere le mansioni quotidiane, lasciando il campo d’azione libero alle trovate della vispa cagnetta. Torna, però, a farsi vedere nella vignetta finale quando interviene immancabilmente a commentare, con ironia complice e sorridente, le imprese della Pimpa. Se tale chiusa topica assicura la presenza garbatamente discreta, non invadente ma vigile del punto di vista adulto, nulla toglie, tuttavia, alla portata innovativa del personaggio. La Pimpa è uno dei primi fumetti dalla parte dei bambini o, meglio ancora, delle bambine. Spicca, infatti, a connotare in modo inequivocabile il mondo della Pimpa l’adozione costante di una prospettiva «dal basso».
La visione del mondo circostante è restituita al piccolo lettore attraverso gli occhi della cagnolina, cioè attraverso l’ottica fervidamente fantasiosa di una protagonista vicina alla mentalità dei più piccoli. In questo senso la Pimpa è il fumetto più prossimo alla linea dell’antipedagogismo seguita dalla più recente letteratura per l’infanzia, tanto più ardita nel seguire tale orientamento quanto più cerca di appellarsi alla curiosità e all’immaginario dei piccolissimi. Lo testimonia l’aspetto comunemente indicato come qualificante dell’universo di Pimpa: la tendenza all’animazione di ambienti e oggetti, non solo animali, piante, frutti e fiori ma anche utensili quotidiani, dai mobili alla sveglia alle pentole e alla varia suppellettile domestica. Tutto prende vita, si muove e parla nel mondo di Pimpa. Del resto Altan ha in più occasioni dichiarato, a proposito della genesi del personaggio, di aver voluto imitare il modo di pensare e di disegnare proprio dei bambini piccoli.
Le scelte grafiche, dal tratto al colore, risultano, infatti, coerenti con la visuale adottata. I colori, per esempio, sono brillanti e piatti, stesi senza tessiture o retinature, nonché spesso connotati in senso più espressivo che realistico: lo dimostra, prima di tutto, lo stesso ritratto della protagonista, straordinario esemplare di cucciolo bianco a pois rossi. Netta è inoltre la predilezione per le linee curve, piatte ma ingrossate per far risaltare la nitidezza delle immagini, in evidente sintonia con il tratto tipico del disegno infantile. Così l’universo della Pimpa si configura come un mondo senza sfumature e senza spigoli, dalle forme morbide e tondeggianti. Certo, nel trentennio di vita il fumetto ha, inevitabilmente, conosciuto un’evoluzione grafica: la Pimpa e Armando sono cambiati, si sono entrambi raggentiliti. La Pimpa si è anche rimpicciolita e il suo padrone ha attenuato i tratti grotteschi che lo facevano assomigliare ai personaggi panciuti e nasuti delle vignette satiriche di Altan, assumendo un aspetto più rotondo e rassicurante.
Eppure il disegno della Pimpa ha mantenuto costanti i tratti inconfondibili della matita che lo ha creato: il cromatismo acceso e l’accuratezza della raffigurazione dei personaggi, soprattutto degli animali e degli oggetti parlanti, risalta sulla semplicità del quadro d’insieme. La Pimpa si regge così su un equilibrio complesso tra la pittoricità raffinata dell’illustrazione e l’adozione delle tecniche di semplificazione grafica tipiche del fumetto, con effetto di smorzamento reciproco di entrambi i codici. Così lo sfondo è ridotto all’essenziale, affidato a una visuale prospettica appena accennata ma a volte contraddetta dalla sproporzione con cui sono raffigurati alcuni particolari.
Gli espedienti di sintesi tipici del linguaggio fumettistico, dalle linee cinetiche alle onomatopee, sono ridotti al minimo, mentre risalta il rilievo icastico dei mille protagonisti del magico mondo animato della Pimpa. In più all’estro fantasioso del racconto fa da contrappunto l’organizzazione pulita e ordinata della tavola a struttura ortogonale, che di solito si compone di una triade di strisce bipartite in due vignette dal formato rettangolare piuttosto ampio e dalle linee di confine ben marcate dalla spaziatura bianca. Ne risulta una configurazione armoniosa del ritmo grafico, appena variato a volte dalla fusione delle due vignette centrali in un unico riquadro. La composizione della pagina appare governata da criteri di chiarezza e nitidezza, consoni alla rappresentazione della trama semplice e lineare delle storie ma anche funzionali all’impatto visivo delle singole vignette.
Il dinamismo del racconto, affidato al ritmo incalzante delle singolari iniziative della cagnolina e supportato bene dall’assenza di didascalie e dalle battute brevi ed essenziali dei balloons, ne riceve un correttivo equilibrante. Ecco che le storie della Pimpa sono racconti belli da leggere, da farsi leggere ma anche da guardare. E, peraltro, le scelte grafiche risultano qualificanti anche sul piano dei significati: la Pimpa conferma la fisionomia di personaggio vivace e intraprendente ma distante dall’ipercinesi scatenata di alcuni bambini terribili dei comic books più recenti.
La Pimpa ama il movimento ma lo utilizza anche per esplorare il mondo che la circonda e animarlo secondo l’estro fantasioso che la caratterizza.
Lo schema narrativo delle vicende è assai semplice, si dipana sulle tracce delle sortite quotidiane o del girovagare per la casa della cagnetta, occasioni immancabili per gli incontri con i vari personaggi del mondo magico che si anima alla sua presenza. L’impianto che sta alla base di ogni avventura è, dunque, un rapporto di coppia, la Pimpa e un personaggio-spalla, spesso diverso da una storia all’altra, ma disponibile a sostenere la cagnetta in avvenimenti dallo sviluppo paradossale e talvolta surreale.
Ma se col tempo, di storia in storia, si è costituito un folto gruppo degli amici di Pimpa, dalla gatta Rosita al cane Gianni a Colombino, il personaggio non può dirsi inserito in una comunità coesa. Emblematica rappresentante dell’egocentrismo tipico della prima infanzia, la Pimpa è piuttosto incline a un atteggiamento individualistico sì ma estroverso, rivolto alla continua ricerca di relazioni e di scambi di esperienze. D’altronde il mondo degli amici di Pimpa non è una vera comunità di eroi di carta, come quella per intendersi dei paperi disneyani, anche perché non si identifica in uno spazio definito. Non esiste, infatti, una vera Pimpopoli, tanto più che la Pimpa non è neppure un personaggio urbano: anzi, vive con Armando in una casa di campagna limitrofa a una non ben identificata città che, qualche volta, può anche divenire il teatro delle sue avventure.
Lo spazio della natura le è, però, più congeniale: non per nulla quello della Pimpa è tutt’altro che un universo ipertecnologico. I più comuni oggetti simbolo della modernità non sono ignorati, a smentire ogni rimpianto per l’idillio rurale o per evasioni naturiste: sveglie, automobili, telefoni, elettrodomestici vari sono sottoposti, come gli elementi naturali, al gioco magico dell’animazione.
Scarsamente presenti all’appello, tuttavia, computer, modem e cellulari, mentre lo stesso televisore si anima alla stregua della restante mobilia della casa di Armando. Nemmeno un flirt col mondo della telematica, nemmeno un accenno alla dimensione virtuale. L’universo della Pimpa è, tutto sommato, ancora quello dell’Italia degli anni settanta-ottanta: riproduce l’habitat in cui sono cresciuti e si sono formati i suoi primi lettori, gli attuali trentenni. Eppure coinvolge ancora i bambini di oggi, pur rinunciando alle icone di quella realtà telematica o robotica considerata solitamente componente indispensabile anche dell’immaginario dei più piccoli. Segno che i meccanismi di immedesimazione attivati dalla Pimpa agiscono a prescindere da tali aspetti e si avvalgono, invece, di modalità apparentemente semplici ma per nulla scontate, anzi articolate e complesse. Pur narrando di viaggi fantasiosi e vicende stravaganti, le storie della cagnolina prendono, però, le distanze da una sollecitazione aperta all’evasione sognante. A spingere Pimpa all’avventura è pur sempre un intento conoscitivo: il desiderio di fare esperienza del mondo, degli ambienti, degli animali e delle cose. L’esplicarsi dell’immaginazione animatrice non è mai un gioco gratuito ma un cammino conoscitivo alla scoperta di sé e degli altri. Non per nulla si tratta di un percorso da condurre attraverso la libertà della dimensione ludica, ma da condividere anche con una figura genitoriale affidabile. Ecco il ruolo di Armando, cui tocca, come già detto, la gag finale, a commento delle straordinarie avventure che Pimpa gli racconta. Alla prospettiva infantile di Pimpa fa da contrappunto l’ottica del suo padrone, con effetto percepibile di smorzamento del tono. Quello di Armando è l’atteggiamento dell’adulto consapevole ma che sa stare al gioco, mantenendosi un passo indietro dal disincanto.
Così la scena finale di ogni storia della Pimpa sembra riproporre ma anche rovesciare l’impianto di tante vignette satiriche di Altan, giocate sullo scambio di battute tra padre e figlio. E tuttavia al sarcasmo cinico e graffiante di un conflitto generazionale insanabile si sostituisce l’ironia sorniona, la capacità di condividere i sogni e le fantasie della prima infanzia senza bamboleggiamenti stucchevoli. All’adulto spetta, dunque, una consapevolezza lucida che non rinuncia alla comprensione affettuosamente partecipe. Di qui la fiducia nella praticabilità di una relazione positiva tra adulto e bambino, complice ma non buonista e soprattutto distante dall’equivoco della confusione di ruoli.