Come rendere sostenibile lo sviluppo

L’emergenza ambientale e di specie che stiamo attraversando, le insanabili disparità tra Sud e Nord del mondo: se, come pare altamente probabile, la profezia Maya non si avvererà e il mondo continuerà a esistere, bisognerà pur trovare, a un certo punto, il modo di mettere in atto un nuovo modello di sviluppo. Gli strumenti per farlo ci sono già, e le conoscenze necessarie sono alla portata di tutti: basterebbe dare un’occhiata nei reparti giusti delle librerie. Perché la salvezza, a volte, viene davvero dai libri.
 
Il 21 giugno scorso, i governanti presenti alla conferenza dell’ONU sullo sviluppo sostenibile che si teneva a Rio de Janeiro hanno dovuto ascoltare l’intervento di Brittany Trilford che apriva i lavori in nome della generazione minorenne. In cinque minuti la liceale neozelandese ha ricordato gli impegni contro la fame nel mondo e il degrado ambientale presi nel secolo scorso e disattesi. «Io sono qui per lottare per il mio futuro» ha concluso. «Vorrei terminare chiedendovi di riflettere sul perché siete qui e su quello che potete fare. Siete qui per salvare la faccia? O siete qui per salvare il mio futuro?» Applausi tiepidi degli adulti, nel pubblico i pochi adolescenti la stavano riprendendo con il cellulare.
Centinaia di congressi piccoli e grandi si sono tenuti sul futuro dell’euro, della biodiversità, degli oceani, dell’agricoltura, della pesca, delle risorse idriche, del clima, dell’economia a varie scale. Producevano dati e tendenze «basate sull’evidenza» degli ultimi decenni. Iniziavano come a Rio, con la nostalgia delle speranze suscitate dall’assemblea mondiale di Rio vent’anni prima. E di Stoccolma nel 1972 quando la popolazione era metà di quella attuale e sembrava ancora possibile consumare meno e meglio.
Tornati a casa dopo ogni inaugurazione, governanti terrorizzati dalla crisi economica che frenava addirittura le importazioni di Cina e India supplicavano la cittadinanza di consumare di più, persino mentre tagliavano il reddito prò capite delle classi mediobasse e difendevano i privilegi fiscali dei milionari con una determinazione da ancien régime. Era la risposta dei professor Monti a Brittany.
Un’altra è arrivata a settembre nel mio supermercato con il sequel – nella serie «Religione e spiritualità» della collana «Xs» questa volta – di 2012. La fine del mondo? Roberto Giacobbo, conduttore della trasmissione di pseudoscienza Voyager e vicedirettore di Rai2, spiegava con apparente serietà quello che sarebbe accaduto il 21 dicembre e perché. (Grazie anche al suo contributo, l’Italia ha appena battuto il proprio record di bufale pseudoscientifiche, alcune delle quali approderanno presto nei supermercati. Di una di esse, mi riprometto di trarre il «thriller all’italiana» suggerito da fisici burloni (si veda la nota alla fine dell’articolo). I lettori interessati invece a una panoramica ben argomentata si possono procurare L’universo è fatto di storie non solo di atomi. Breve storia delle truffe scientifiche, di Stefano Ossicini.
Nelle librerie le pubblicazioni sullo sviluppo sostenibile rimanevano esposte per pochi giorni, gli editori specializzati ne erano sconfortati. D’altronde le soluzioni proposte dai vari autori sembravano utopiche. Sperdute isole del Pacifico a parte, esiste un paese disposto a rinunciare alla propria sovranità in cambio di una governance planetaria equa e solidale? E le raccomandazioni – risparmiare risorse, riusarle, riciclarle – sembravano superflue, lo facevano già in tanti, la cinghia sempre più stretta. Ma si può tirare senza essere infelice diceva Diane Coyle in Economia dell’abbastanza. Gestire l’economia come se del futuro ci importasse qualcosa. Ce lo ripetono in tanti, ne siamo persuasi. Resta da convincerne il sistema della produzione e del commercio, ministri del Tesoro e banchieri centrali ignari di funzioni esponenziali e fedeli all’equivalenza tra benessere e incremento del PIL di un 2,5-3% annuale nel capitalismo maturo e dell’8-10% in quello in via di maturazione. Quando il barile di petrolio sta fermo sopra i cento dollari, conviene Reinventare il fuoco, ricordava Amory Lovins, economista infedele e inascoltato, per affrancarsi entro il 2050 dal petrolio, dal carbone e dal nucleare, così diminuiscono pure le emissioni di inquinanti che rovinano il clima, le terre emerse e gli oceani.
Si inventerà molto di più, sosteneva Michael Nielsen in Le nuove vie della scoperta scientifica: «il cambiamento descritto in questo libro è una rivoluzione lenta, che negli anni ha acquisito velocità. Ma non lasciatevi ingannare dalla sua natura lenta e silenziosa… È importante. Significa trovare una cura più in fretta per il cancro, risolvere il problema del cambiamento climatico, mandare l’umanità in permanenza nello spazio». Certo, dopo però l’autore fornisce molti esempi in matematica, fisica e astrofisica e pochi in medicina e ingegneria, entrambe ostacolate da interessi privati e irrinunciabili rendite di posizione. L’intelligenza collettiva di Internet e dei «social media» non ha ancora libero accesso alle mutazioni genetiche che proteggono dall’Alzheimer o alla composizione del materiale che trasforma in elettricità il calore «buttato via» da un’automobile o da un computer. Nella breve autobiografia I virus non aspettano, Ilaria Capua racconta la sua battaglia tragicomica per l’immediata pubblicazione delle sequenze genetiche dei virus aviari, indispensabili per produrre vaccini efficaci. L’ha vinta, ma c’è voluto coraggio per sfidare i colleghi che tenevano le sequenze nel cassetto fino alla pubblicazione sulla rivista prestigiosa o in attesa del brevetto e relativi finanziamenti per la start-up. Coraggio e l’appoggio inatteso di Margaret Chan nominata, in un momento cruciale, presidente dell’organizzazione mondiale della sanità (umana). E fra i tropici dove l’energia solare è la più conveniente, gli stati versano l’80% dei 380 miliardi all’anno che vanno ai produttori di petrolio e diesel per «calmierare» il prezzo di vendita e una frazioncina di quei miliardi per diffondere il fotovoltaico.
Nell’autunno del 2012 però, si è cominciato a riusare e riciclare un libro pubblicato cinquant’anni prima da una biologa marina, minuta, malata di cancro e indomabile: Primavera silenziosa di Rachel Carson, ancora in stampa nei paesi dove non è stato bloccato dalla censura. Nel secolo scorso hanno venduto più copie i gialli di Agatha Christie e i rosa di Barbara Cartland. Eppure quel saggio poetico, basato su centinaia di ricerche tuttora valide e che si potrebbe riassumere in «tout se tient» o «non fare ad altre specie quello che non vuoi subire a tua volta», ha innescato la rivoluzione verde spesso attribuita a due pamphlet di Barry Commoner. A torto; sono dimenticati e giustamente, l’autore si firmava con uno pseudonimo per evitare ripercussioni sulla propria carriera accademica.
Rachel Carson era impavida. La campagna di diffamazione (la piccola signora con collana d’oro e ampia tenuta sul mare in una zona elegante del New Hampshire era descritta come una comunista, celibe quindi sospetta di lesbismo, non s’impicciasse del futuro di figli altrui) provocata dal suo libro sembra semmai averle prolungato la vita. Il tempo di generare una discendenza impavida quanto lei, in un tourbillon di interventi in pubblico organizzati da club di lettori, cioè lettrici, e da naturalisti dilettanti in calzoni corti accompagnati dalla mamma. Il movimento non si è più fermato, lo dimostrano il successo delle recenti proteste in Cina; e in Africa e in America Latina gli omicidi di militanti ambientalisti documentati da un dossier presentato a Rio.
La campagna dei produttori di pesticidi prosegue e, facile previsione, proseguirà finché il libro passerà da una generazione all’altra. Oggi Rachel Carson è accusata di aver fatto vietare il DDT con la sua teoria della bioaccumulazione dei pesticidi nella catena alimentare. Avrebbe pertanto sulla coscienza da 100 a 350 milioni di morti per malaria, una strage tuttora in corso, pur di salvare dall’estinzione il condor californiano. Peccato che lei raccomandasse un «uso saggio» del DDT il quale è stato vietato in agricoltura a partire dal 1972 (era morta nel 1964) e viene ancora sparso contro le zanzare portatrici del patogeno della malaria dove non hanno ancora evoluto una resistenza.
I libri sul futuro invecchiano in fretta, ma un buon candidato a diventare anch’esso un classico risale al 2011: 2050. Il futuro del nuovo Nord di Laurence Smith, un geografo della University of California, Los Angeles. Racconta viaggi nelle nazioni attorno al circolo polare artico destinate a prosperare sull’ex permafrost. Fra quarant’anni ci fioriranno i limoni. Dal Tropico del Cancro in giù, i tre quarti dell’umanità patiranno la sete per mancanza di acqua potabile, la fame per le siccità che dimezzeranno i raccolti, a meno che non siano già annegati nelle alluvioni o nel mare che ne invaderà le megalopoli costiere. I disastri che un riscaldamento globale di soltanto 0,8°C in cinquant’anni ha combinato quest’estate all’agricoltura e agli allevamenti dell’emisfero nord fanno pensare che le estrapolazioni di Laurence Smith siano più probabili di quelle di Jorgen Randers del Club di Roma in 2052. Una previsione globale per i prossimi quarant’anni, del Worldwatch Institute in State of the World 2012. Verso una prosperità sostenibile-, di Donella e Dennis Meadows nei Nuovi limiti dello sviluppo.
Prima di rassegnarsi all’impotenza, raccomando Leconomia dei poveri di Abhijit V. Banerjee ed Esther Duflo da prendere in biblioteca se il prezzo è insostenibile. Esther Duflo è l’autrice dei Numeri per agire uscito nel 2011, l’economista del Massachusetts Institute of Technology dove dirige un laboratorio insieme a un amico arabo. Francesina quarantenne dall’aspetto un po’ punk e l’accento dell’ispettore Clouseau nella Pantera Rosa, è figlia di Rachel Carson da parte ambientale e da parte della gestione ottimale dei beni comuni e della sociologa Elinor Ostrom, morta nel 2012, prima donna ad aver ricevuto un premio Nobel per l’economia nel 2009, nonostante il doppio difetto di essere sociologa e femmina. La Ostrom faceva esperimenti sul campo prima che ci pensassero i neuroeconomisti, con ipotesi da testare, dati da raccogliere, risultati da confrontare con quelli dei gruppi di controllo. La Duflo li prosegue per capire le scelte diverse di uomini e donne, distinguendo gli sprechi dai rimedi alla povertà, la lotta vincente alla corruzione tra le forze dell’ordine dai trucchi che modificano solo la corruzione percepita.
È il metodo collaudato da un secolo in medicina, ma tuttora ignoto agli economisti più in vista (anche se ormai «la» Duflo è così visibile che il Collège de France le ha creato una cattedra apposta, cosa mai fatta per una donna dal 1530). Per esempio a Jeffrey Sachs, di Harvard, che per conto dell’ONU coordina in Africa il progetto multimiliardario dei «Villaggi del Millennio» e nel 2012 ha pubblicato statistiche sul calo della mortalità infantile che sarebbero state più credibili se avesse indicato nella tabella quelle di villaggi analoghi nei quali non erano affluiti seimila dollari per famiglia/anno dal 2005.
La differenza è dovuta al fatto che Esther Duflo è consapevole dell’esistenza di due sessi con motivazioni e aspettative che non sempre coincidono e anche del rapporto, insegnato da Amartya Sen e altri, tra opportunità, pragmatismo e libertà individuale. Ogni Homo oeconomicus ha una propria storia, una vita unica che può intrecciarsi in tanti modi con quella degli altri e non c’è ricerca empirica che regga se non tiene conto delle sue buone e cattive ragioni. Se, per esempio, un villaggio indiano o nigeriano è governato da uomini che hanno a disposizione diecimila dollari, li spenderanno per costruire una scuola, se è governato da donne per fare arrivare l’acqua potabile e costruire sanitari. Le scelte non sono in contrasto, dimostra Duflo. Anche per le donne la scuola è una priorità, ma i bambini muoiono di diarrea dovuta ad acqua infetta prima dell’età scolare e senza sanitari le ragazze smettono di andare a scuola alle prime mestruazioni. Una volta colmato il deficit cognitivo, gli uomini fanno la stessa scelta delle donne.
Oppure le ammazzano, un rimedio alla sovrappopolazione che gli uomini fin qui citati dimenticano mentre polemizzano volentieri con il papa sull’accesso dei maschi al preservativo e mai con i governi sul non accesso delle donne alla pillola e altre forme di pianificazione familiare. Contando i 100 milioni di bambine mancanti all’appello ogni anno, come fa Anna Meldolesi in Mai nate, e i 3-4 milioni di trucidate in età riproduttiva secondo il nuovo rapporto dell’ONU, le nascite calano di 250 milioni. Risolto così l’incremento demografico, resta da risolvere il problema del welfare, di chi e con quali soldi accudirà gli anziani. L’Eurobarometro «Active Ageing» annunciava che entro il 2060 raddoppieranno gli ultra sessantacinquenni.
La guerra tra generazioni a chi si accaparra più risorse economiche è annunciata da un decennio, e non ho trovato novità editoriali in tema, se non mezza dozzina di libri destinati ai giovani su come prepararsi al precariato vita naturai durante tenendosi buoni genitori e parenti. Ma la presbiopia avanza, forse sono riuscita a non vedere i saggi sull’avidità e l’egoismo di noi pantere grigie. In compenso mi ha entusiasmata Dio è violento (un graffito su un muro di Lecce, con sotto «e mi molesta!») della pantera grigia Luisa Muraro, ben più tonico, politico e generoso di idee di Indignatevi. Indignarsi accresce il rischio di incidenti cardiocircolatori, mentre lo abbassa fare politica, cioè realizzare progetti di maggiore civiltà e farlo con donne e uomini nel pezzo di mondo che condividiamo.
E comunque nel 2013 – calendario maya permettendo – dovrebbe uscire la traduzione del libro di Steven Pinker, Dhe Getter Angels of Our Nature, sottotitolo «perché la violenza è declinata» nel corso della nostra storia. Spero che diventi un best seller e diffonda un pacifismo contagioso e che solo i lettori di un numero speciale sui conflitti pubblicato dalla rivista «Science» si accorgano che la tesi poggia su dati traballanti e deduzioni improbabili.
 
Nota
Giallista cercasi per collaborazione. Il thriller riguarda la scoperta dell’energia piezonucleare da parte del prof. Alberto Carpinteri e colleghi del Politecnico di Torino, che serve a prevedere i terremoti, produrre elettricità dai sassi, risolvere la crisi energetica mondiale e colmare il deficit dello stato. Ma oscure potenze complottano per impedire l’applicazione della scoperta; a quanto scrivono gli scopritori, qui ci sarebbero di mezzo procaci spie russe e biechi trafficanti di scorie nucleari. Serve altresì riscrivere il Vangelo secondo Matteo. In un articolo di una rivista «scientifica», sulla quale si paga per essere pubblicati, il prof. Carpinteri deduce da due righe di Matteo e altre due dell’Inferno di Dante che a Gerusalemme il 3 aprile 33 d.C. c’è stata una scossa di 8-9 gradi Richter durata quindici minuti (minuti, ripeto). Essa ha trasformato la pietra del sepolcro in una megabomba di neutroni la cui esplosione ha lacerato una tenda, tramortito pochi soldati romani e impresso le fattezze di Cristo sulla Sindone. Per il resto nessuno ha notato alcunché di insolito.