Cristo in libreria, troppo divino, troppo umano

Sempre numerosi i titoli dedicati alla figura di Gesù. Ne sono autori saggisti e romanzieri, tesi a interrogarsi sulla reale portata dell’enigma cristiano, in volumi editi non soltanto dalle case editrici confessionali, ma anche da quelle laiche. Al di là degli steccati che tradizionalmente separano credenti e atei, cattolici e anticlericali.
 
«Al centro del mio cuore» recita un canto religioso giovanile, di quelli che, eseguiti al ritmo di chitarre tra il rock e il pop, dopo il Concilio hanno sostituito il gregoriano durante la messa (con buona pace di Joseph Ratzinger e delle sue nostalgie tradizionaliste, in casi come questo forse non del tutto fuori luogo…). «Al centro del mio cuore ci sei solo tu» dice il canto in questione con fraseggio più da romanzo rosa che non da inno liturgico. «Tu», cioè Cristo.
Cristo che è sempre più «al centro» anche della produzione editoriale. Non che da duemila anni a questa parte l’argomento Gesù sia stato secondario nei libri. Ma, a giudicare dai titoli che si affollano sui banchi delle librerie, negli ultimissimi anni in Italia stiamo assistendo a un ritorno di interesse nei confronti della figura di Cristo, sia nella sua dimensione storica sia in quella spirituale e religiosa.
Di recente padre Ferdinando Castelli, gesuita e critico letterario della «Civiltà Cattolica», ha stimato che nel nostro paese siano usciti nel Novecento quasi centomila libri su Gesù, mentre oggi si calcola che ne vengano pubblicati circa cento all’anno. Volumi – saggi e romanzi – editi non soltanto dalle case editrici confessionali, ma anche da quelle laiche. Al di là degli steccati che tradizionalmente separano credenti e atei, cattolici e anticlericali.
Parliamo di opere lontane sia dall’apologetica (il Gesù di papa Ratzinger, di cui ha scritto Luca Clerici in tirature ’12) sia dall’attacco frontale (come capita con autori quali Christopher Hitchens, Richard Dawkins, Michel Onfray o Piergiorgio Odifreddi). Se quello di Dio è, comunque, un tema inaggirabile, rispetto al personaggio (umano/divino) di Gesù emerge sempre più nella cultura, anche laica, un approccio aperto e non preconcetto. Anche se gli opposti fondamentalismi sono sempre in agguato: ne sono state testimonianza le accese polemiche scatenatesi attorno alla pièce teatrale (in sé mediocre, per la verità) di Romeo Castellucci, che poneva sullo sfondo della scena il volto di Cristo (una tela di Antonello da Messina) come simbolo di una divinità lontana dalle sofferenze degli uomini: atto di accusa o di protesta, che comunque riconosce l’altro come interlocutore.
Partiamo dall’ultimo romanzo di un best sellerista d’Oltralpe, Max Gallo, Era Dio (Edizioni San Paolo, 2012). Gallo, nato a Nizza nel 1932, oltre che narratore, è uno storico e un giornalista (è stato, tra l’altro, editorialista dell’«Express» e direttore del «Matin de Paris»). Da qui Informa mentis tipica dell’indagine e dell’inchiesta che caratterizza il suo libro.
Potrebbe essere interessante chiedersi come abbiano potuto reagire di fronte alla morte di Cristo e ai fatti «miracolosi» che ne seguirono (anche chi non crede alla sua resurrezione non può negare lo straordinario impulso alla sequela del suo messaggio) le persone che non erano state suoi discepoli, che non lo avevano ascoltato, che non lo avevano accompagnato negli anni della sua predicazione. Ipotizziamo un uomo razionale, intelligente, ma non chiuso al dispiegarsi del mistero. Che cosa avrà pensato? Quali saranno state le sue reazioni psicologiche? Quali conseguenze potrà aver avuto quell’insieme di fatti eccezionali sulla sua vita? Con queste caratteristiche (e con queste domande) viene immaginato il centurione romano Flavio, protagonista e voce narrante dell’opera. Flavio è un testimone oculare, colui che è stato incaricato di portare a termine il supplizio di Gesù sulla croce. Da quel momento la sua vita non sarà più la stessa.
Il racconto dei Vangeli è la fonte principale dell’autore, che però immagina, in maniera molto suggestiva, anche quanto il Nuovo Testamento non dice. E come se lo scrittore si fosse posto l’obiettivo di colmare con la libera fantasia creatrice le lacune della narrazione neotestamentaria. Tra le lacrime, le preghiere, le grida di odio, il tuono violento che scuote il cielo alla morte di Cristo, Flavio si pone una domanda fondamentale: «E se davvero quest’uomo fosse Dio?». Una domanda che ancora oggi continua a provocare e che Max Gallo ha il merito, con questa sua opera, di rendere attuale.
Simile l’approccio dello scrittore siriano, ma naturalizzato milanese (tanto da scrivere in italiano), Miro Silvera. Nel 2012, et al./EDIZIONI ha ripubblicato, con il titolo Io Yeoshua chiamato Gesù un romanzo già uscito nel 1998 da Piemme come I giardini dell’Eden. Anche Silvera supplisce con l’immaginazione a ciò che i Vangeli tacciono: cioè l’infanzia, l’adolescenza, gli anni della formazione, la vita in famiglia di Gesù e poi, dopo la morte del padre, il suo viaggio alla ricerca della verità.
Due sono gli aspetti suggestivi del libro: da un lato il tentativo dell’autore di entrare nella quotidianità di un ragazzo come tanti (sebbene destinato a eventi grandiosi e certamente non comuni); dall’altro la capacità di tratteggiare sullo sfondo il quadro di un periodo storico tormentato, percorso da fermenti forieri di grandi trasformazioni politico-sociali (per esempio si parla della rivolta armata degli zeloti e del tentativo di riscatto spirituale da parte della setta degli esseni). Insomma, un Gesù nascosto oggettivamente romanzesco, ma spiritualmente plausibile.
Sull’attualità del messaggio cristiano riflettono un vescovo cattolico, Vincenzo Paglia, e uno scrittore credente, Franco Scaglia, autori del volume Cercando Gesù (Piemme, 2012). Il sottotitolo riporta una domanda: «In un mondo sempre più confuso siamo ancora capaci di amore?». Una domanda alla quale provano a rispondere i due interlocutori attraverso un confronto che tocca vari temi, alcuni dei quali già affrontati in un volume di cui erano stati coautori nel 2010, In cerca dell’anima. Dialogo su un’Italia che ha smarrito se stessa (pubblicato sempre da Piemme): l’importanza dell’altro, la carità, lo sviluppo economico, la perdita del senso della pietas che spesso colpisce i più deboli, la solitudine dell’uomo contemporaneo.
Il dialogo tra i due autori si svolge a Gerusalemme, nei luoghi che hanno visto la predicazione e la passione di Cristo. Il suo messaggio è riletto come messaggio di salvezza, di riscatto, di liberazione. Il punto di partenza è di taglio storico. Che cosa sappiamo di certo su Gesù? Oggi non ci sono dubbi sull’esistenza di questo personaggio dal punto di vista biografico. Ma in molti sostengono che la sua essenza divina sia stata proclamata esplicitamente soltanto nel 325, al Concilio di Nicea, indetto da Costantino per dirimere alcune scottanti questioni dogmatiche, ma in realtà con lo scopo non dichiarato di promuovere il cristianesimo a religione di Stato: una Chiesa unita, e non divisa da scismi laceranti, avrebbe potuto costituire un più valido sostegno allo stesso Impero. E prima? Secondo diversi studiosi, Gesù si era presentato soltanto come un profeta e non si era mai considerato né tanto meno dichiarato Dio. «E il resto?» si chiede Scaglia. «E proprio il resto» aggiunge «che è servito a costruire la storia del cristianesimo. E un paradosso, ma è “il resto” che ha creato la sua figura. E “il resto” che permette ancora oggi di continuare a scrivere libri su di lui».
Per parte sua, monsignor Paglia crede – ed è ovvio che sia così – nella divinità di Gesù, di questo Cristo che si immola, ma da pastore illuminato compie un apprezzabile sforzo di parlare anche ai non credenti, proprio nello spirito del Concilio Vaticano II. Non a caso cita il laico Pier Paolo Pasolini (laico, ma sinceramente affascinato dalla figura di Cristo, al punto da girare quello che in molti considerano il più bel film mai realizzato su Gesù, Il Vangelo secondo Matteo), il quale scriveva in una lettera a un amico: «Io non credo che Cristo sia figlio di Dio, perché non sono credente, almeno nella coscienza. Ma credo che sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità». E Paglia aggiunge: «Chi frequenta con onestà le pagine evangeliche viene coinvolto in quell’Oltre che le traversa, tanto esse sono paradossali, forti e inesorabilmente coinvolgenti».
Nei capitoli successivi i due autori ripercorrono le tappe della Passione, cioè della «via dolorosa» di Gesù, alla ricerca dei significati profondi di questa sofferenza, che è uno dei misteri centrali della fede cristiana. Una discesa agli inferi che ha una sua attualità, per esempio a confronto con le sofferenze degli uomini di oggi. Scrive Paglia: «Cristo continua a scendere nel Mediterraneo per raccogliere dal suo fondo le vittime innocenti, quelle centinaia e centinaia di uomini e donne, di giovani e bambini che non sono riusciti a raggiungere la sponda del nord dell’Europa».
Si sarà compreso che Cercando Gesù è quanto di più lontano da un volume agiografico o devozionale. Si pone invece come un’opera dotata di una grande carica etica. Invitando i cristiani a ripensare la propria fede; i credenti e i non credenti a scoprire la capacità che, duemila anni dopo, la figura di Cristo ha ancora di scuotere le coscienze pigre, addormentate e – aggettivo caro a Vincenzo Paglia e a Franco Scaglia – drammaticamente «inerti».
E un libro coraggioso e sincero anche l’ultimo di Ferruccio Parazzoli, Eclisse del Dio unico (il Saggiatore, 2012). L’autore, da mezzo secolo a questa parte punta avanzata dell’intellighènzia cattolica italiana, ora sottopone a radicale critica e revisione le certezze del credo cristiano. Lo fa – afferma – per onestà nei confronti di quello stesso Dio in cui, sin da bambino, gli hanno insegnato a credere, ma soprattutto per onestà verso se stesso e la propria coscienza.
Ne esce un libro tra meditazione e autobiografia, con l’efficacissimo racconto di un’esperienza in rianimazione, punto temporale da cui si dipana la riflessione. Il Dio creatore, esterno al mondo, Padre di un Figlio destinato ab aeterno a morire in croce, il Dio di una Chiesa sempre meno convincente, non è più adatto a rispondere alle domande delle donne e degli uomini di oggi. Che cosa rimane allora? Per Parazzoli non certo il nichilismo di gran parte della cultura e della società odierne, che anzi denuncia con preoccupazione. Bisogna rimettersi in gioco per trovare un senso all’esistenza ripensando dalle fondamenta l’identità del divino. E noi stessi in rapporto con questa dimensione.
Originale lettura della figura di Cristo è, infine, il libro di Raul Montanari, Il Cristo zen (Indiana Editore, 2011). Del resto Montanari è un narratore che sin dai suoi esordi non ha occultato nella scrittura le tensioni metafisiche. Lo scrittore incrocia i testi scritturistici cristiani e zen alla ricerca di consonanze e punti di contatto. Una ricerca svolta con la sensibilità di tenere distinte le due religioni, evitando la notte new age in cui tutte le vacche sono nere.
Innanzitutto Montanari nota come certe intuizioni dei maestri zen e dello stesso Buddha, le frasi secche, lapidarie, il senso della natura, l’anticonformismo, la libertà di pensiero e la forza delle soluzioni espressive, si ritrovino anche nelle parole e nei comportamenti di Gesù, per come ci sono stati tramandati dai Vangeli. L’autore evidenzia come negli atti e nelle parole di Cristo sia possibile ritrovare modi e contenuti sorprendentemente simili a quelli del Buddha storico e di questi monaci zen vissuti diversi secoli prima dell’inizio dell’era cristiana.
Così Montanari confronta, e a volte volutamente confonde, insegnamenti che gli sembrano scaturire da una medesima verità. «Una verità così primitiva» scrive «così potente, fatta di fiducia incrollabile, di abbandono consapevole al flusso degli eventi, di disciplina inflessibile prima verso se stessi che verso gli altri, di disprezzo per ogni vuoto, ridicolo, grottesco eppure onnipresente culto dell’esteriorità».