La “trilogia” di Silvia Avallone

Silvia Avallone, classe 1984, va annoverata fra i giovani scrittori di maggiore successo degli anni recenti. Dopo Acciaio (2010), impostosi come best-seller di qualità, ha pubblicato altri due romanzi, Marina Bellezza nel 2013 e Da dove la vita è perfetta nel 2017, che non hanno generato lo stesso entusiasmo. Non inferiori al più fortunato precedente, scontano, tuttavia, il fatto che Avallone tenda a riproporre schemi narrativi e tipologie di personaggi del tutto simili da un libro all’altro. Finendo per rendere più appetibile, dentro questa involontaria trilogia, l’archetipo rispetto alle varianti successive.
 
La strategia editoriale che da oltre due decenni predilige la ricerca dell’esordio “col botto” ha sorriso nel 2010 a Silvia Avallone, quando Rizzoli ha pubblicato il suo Acciaio, vincitore del premio Campiello, finalista allo Strega, apprezzato dal pubblico, approvato dalla critica, tradotto in venticinque lingue, trasposto al cinema nel 2012. Prevedibilmente, i due romanzi successivi, a loro volta usciti da Rizzoli, Marina Bellezza (2013) e Da dove la vita è perfetta (2017), pur godendo di una buona eco, hanno riscosso un successo inferiore, sia presso i recensori, sia presso i lettori. Eppure questi ultimi romanzi, sul piano della riuscita testuale, non hanno nulla da invidiare ad Acciaio. Anzi, gli somigliano sotto tanti aspetti. Al punto che i tre libri si direbbe costituiscano una trilogia sui generis e involontaria, perché non si tratta dell’itinerario evolutivo di un’unica vicenda che si dispiega su più tappe e tanto meno è il frutto di un meditato progetto. Invece si tratta di più o meno casuali corrispondenze fra narrazioni che si vorrebbero autonome l’una dall’altra, pur facendo tutte capo alla formula che al suo primo apparire ha raccolto numerosi consensi.
L’idea di fondo, nonché minimo comune denominatore fra i tre testi, è facile da distinguere: leggiamo di personaggi alle prese con una dolorosa fase di passaggio dell’esistenza. Assistiamo a un loro nuovo ingresso nel mondo, raffigurato come un riscatto dai tremendi guasti causati dai genitori, in particolare dai padri. Anna e Francesca, le due adolescenti protagoniste di Acciaio, gettano faticosamente le fondamenta del loro futuro, l’una contro un padre assente, ludopatico e ladro, l’altra contro un padre fin troppo presente e violento. In Marina Bellezza, i ventenni Andrea e Marina cercano un posto nel mondo inseguendo le loro vocazioni professionali tra mille difficoltà, mentre fanno i conti con un padre incapace di amare e con uno che a sua volta è dipendente dal gioco d’azzardo e si è dato alla macchia. In Da dove la vita è perfetta due giovani donne, la diciottenne Adele e la trentenne Dora, si confrontano, ognuna a suo modo, con la scommessa della maternità, e non stupisce che Adele abbia un padre dedito al crimine pressoché identico a quelli di Anna e Marina. Dunque, adolescenza, approdo all’età adulta, maternità sono le sfide che caratterizzano i libri di Avallone. Tutte e tre da intendere come sfide di emancipazione da un background fortemente compromesso.
In questi libri troviamo sempre all’opera due protagonisti, che affrontano la medesima prova in modi contrapposti: in Acciaio, Anna è determinata a cercare l’emancipazione attraverso la formazione scolastica, mentre Francesca si ribella alle catene della vita familiare ricorrendo alla scorciatoia offertale dal suo magnifico corpo. In Marina Bellezza, la scelta professionale di Andrea incarna un radicale rifiuto dello status quo capitalistico; da parte sua Marina non sa resistere alla vocazione di entrare nello star System del consumismo musicale. E in Da dove la vita è perfetta, Adele è madre accidentalmente, mentre Dora da cinque anni cerca con ogni mezzo di avere un figlio. Sono simmetrie oppositive che, come molte altre affinità, transitano da un romanzo all’altro in modo probabilmente fortuito, ma non per questo meno significativo.
Legata alla doppia polarità dei protagonisti è la presenza nei libri avalloniani di due filoni narrativi, che a tratti proseguono paralleli e a tratti si intrecciano. In Acciaio e Marina Bellezza, a fianco al plot principale corre quello dei principali personaggi maschili, Alessio nel primo libro e Andrea nel secondo. Entrambi occupano spesso la scena insieme a due loro vecchi amici, che posseggono sempre le medesime caratteristiche: sono un giovane padre incapace di assumersi le responsabilità di tale ruolo (Cristiano in Acciaio, Luca in Marina Bellezza) e un ex carcerato (Mattia in un caso, Sebastiano nell’altro). Il doppio filone narrativo caratterizza anche Da dove la vita è perfetta: il solitario Zeno è innamorato, dapprima nascostamente poi in modo palese, di Adele, facendo così confluire questa vicenda sentimentale con quella della gravidanza della ragazza. A proposito di personaggi maschili, identica è anche la peculiarità che distingue i protagonisti (Alessio, Andrea, Zeno) dagli altri personaggi del medesimo sesso: vale a dire una forte inquietudine esistenziale e una speciale sensibilità, ben diverse dalle personalità genuine ma semplici dei loro coetanei e sodali.
A uno schema fisso risponde anche la silhouette delle protagoniste: Anna, Marina e Adele, che hanno tra i quattordici e i ventidue anni, sono tanto giovani quanto belle, cocciute e disperate; e naturalmente condividono anche la coazione a dare una svolta radicale alle loro vite. Come detto, sono figlie di uomini afferenti a un identico cliché: Arturo, Raimondo e Adriano hanno abbandonato le giovanissime mogli e le figlie ancora fanciulle, per sottrarsi alla ripetitiva quotidianità della vita familiare e vivere una più o meno fasulla grandeur malandrina. Brillanti soltanto agli occhi innamorati delle figlie, sono in realtà uomini immaturi, come quasi tutti i personaggi maschili di Avallone. Altrettanto “schematiche” sono le loro mogli: madri adolescenti, trascorrono anni ad aspettare i loro mariti, incapaci come sono di dimenticarli, mentre si fanno inghiottire dalla depressione e dall’alcol oppure, stanche e scontente, dedicano tutte se stesse a guadagnare l’indispensabile per la famiglia.
Le similarità fra i tre libri non si fermano qui. In tutti è presente una figura femminile che fa da contraltare alla protagonista: tanto quest’ultima è attraente e incolta (così si presentano Anna e Francesca, Marina, Adele), quanto la prima non è ambita dagli uomini, ma è una gran studiosa: è il caso di Lisa, la “secchiona” di Acciaio, e della sua quasi omonima Elsa, dottoranda in Scienze politiche, coinquilina e rivale perdente (ma vincitrice morale) di Marina Bellezza; ed è il caso anche di Dora, professoressa di italiano disabile e impossibilitata a generare figli, che per un verso è l’opposto della giovane madre Adele e per un altro si oppone alla sua coetanea Emma, ex pallavolista e madre bellissima di due bambini. La somiglianza fra Elsa, Lisa e Dora deriva anche dal fatto che si tratta di più o meno parziali alter ego dell’autrice, che in Da dove la vita è perfetta si rispecchia anche nell’aspirante scrittore Zeno. Da tali opposizioni tra i personaggi femminili derivano veri e propri triangoli sentimentali: Acciaio Francesca ricorre a Elsa per sostituire l’amata Anna; in Marina Bellezza Andrea è conteso tra Marina ed Elsa; infine, in Da dove la vita è perfetta, Zeno, innamorato di Adele, è oggetto del desiderio della sua insegnante Dora. Andrà infine osservato, a proposito di liaisons sentimentali, che in ogni libro si trova una storia d’amore complicata dalle differenze sociali e culturali esistenti tra i personaggi coinvolti. In Acciaio, l’operaio Alessio ama la borghese Elena, con la quale vive una lunga storia, finita proprio a causa della diversa condizione dei due. Qualcosa di simile avviene tra Andrea e Marina, essendo lui un giovane intellettuale di origine borghese, che difende una ben precisa visione del mondo, mentre lei è attratta irresistibilmente dalla banalità del successo televisivo. Allo stesso modo, il rapporto tra Adele e Zeno è quello fra una ragazza soltanto semiscolarizzata e un allievo modello del liceo classico.
Riassumendo, in tutti i romanzi di Avallone non solo si ripropone il tema prediletto del superamento dei traumi provocati dai genitori, inteso come condizione perché i figli possano prendere realmente possesso della loro esistenza. Se si porta l’attenzione sui personaggi, si rileva che tante loro peculiarità e tanti aspetti delle vicende in cui sono coinvolti si rifanno a schemi relazionali largamente sovrapponibili.
Un ulteriore ingrediente di primo piano in questi libri sono gli ambienti, nella cui messa a punto va riconosciuto uno degli elementi di forza della scrittura di Avallone. A loro è demandata la responsabilità di manifestare con effetto immediato l’individualità del singolo libro, nonostante resti identica la predilezione per le periferie, intese sia nel senso di zone umili e malfamate collocate ai margini di una città, sia nel senso di province in declino e in via di spopolamento. Come accennato, le ambientazioni mutano seguendo le tappe della biografia dell’autrice, svoltasi fra Piombino (Acciaio), il Biellese (Marina Bellezza), Bologna (Da dove la vita è perfetta). Avallone dedica molta cura alla ricostruzione della topografia dei luoghi, coadiuvata dalla sua vocazione alle riprese “in esterna”, sulle tracce del moto ininterrotto dei personaggi. Particolarmente riuscita è la raffigurazione, dialetticamente sfumata, del Biellese e delle sue valli, del quale Avallone ha saputo fotografare, con il giusto grado di complessità, l’anonimo crepuscolo economico e sociale dopo il boom degli anni ottanta.
L’altro fattore essenziale del realismo avalloniano è la gestione del tempo, scandito da precisi riferimenti disseminati un po’ ovunque: sappiamo così che si va dalla quota minima di sette mesi, la durata della vicenda di Marina Bellezza, ai nove di Da dove la vita è perfetta e ai dodici di Acciaio. Avallone non ambisce a restituire le lente movenze di un’intera vita o di sue vaste porzioni: predilige pedinare da vicino una zona molto coesa della parabola dei suoi personaggi. Ma questi romanzi – nonostante sul piano della cronologia abbiano il passo breve e rapido del cortometraggio – sono piuttosto voluminosi: il che si deve appunto alla consistenza delle descrizioni ambientali e alla meticolosa registrazione di quanto vedono e dicono i personaggi principali, che il narratore esterno restituisce attraverso frequenti fecalizzazioni e la resa mimetica dell’indiretto libero.
Tuttavia, ciò non significa che la sonda posizionata da Avallone nell’animo dei suoi giovani protagonisti scenda realmente a fondo nei loro rovelli. Si può partire da questa constatazione, per rispondere alla domanda che concerne il punto nodale di questi libri: che cosa significa che l’autrice tenda a riproporre personaggi che si richiamano l’uno con l’altro, inserendoli in dinamiche relazionali che trascorrono con poche varianti da romanzo a romanzo? Si direbbe che il metodo di Avallone consista nel muovere da una serie di urgenze di ordine sociologico, ossia da a priori tematici di volta in volta declinati in nuovi ambienti (Piombino, Biella, Bologna) e incarnati in una galleria più o meno fissa di personaggi, i quali sono appunto dei “tipi” sociologici prima che psicologici. Questi non sembrano dunque nascere da un’autonoma necessità, tanto è vero che appaiono come silhouette ricorrenti, chiamate appunto a esprimere una serie di situazioni, questioni, circostanze, che in parte variano da libro a libro, in parte passano quasi intatte da uno all’altro. Abbiamo così a che fare con dei prototipi, anche molto ben modellati, prima che con personaggi veri e propri irriducibili a schemi prestabiliti. La “verità” del singolo è insomma sacrificata in nome dell’imperativo che impone di dispiegare un “tema”. In effetti, un ulteriore elemento di somiglianza fra i tre romanzi è l’eccezionale concentrazione di questioni di attualità, sempre affrontate con un piglio militante riconducibile all’area del buonismo progressista. Solo pochi esempi da aggiungere a quanto già visto: la condizione operaia nell’epoca della deindustrializzazione, lo spopolamento delle valli alpine, la crescente marginalità di alcune province, la diffusione dei prodotti agricoli a “km 0”, la malavita giovanile, la procreazione assistita e l’adozione, la dipendenza dal gioco d’azzardo, l’handicap, il crollo delle Torri gemelle, i talent show televisivi, la diffusione della droga e dell’alcol presso i giovani.
Torniamo così al punto da cui eravamo partiti. Nel caso di Avallone, è meglio l’esordio “col botto” rispetto a ciò che è venuto dopo. Nonostante tutto (nonostante la qualità non inferiore dei due romanzi successivi) meglio l’originale, meglio ancora una volta Acciaio. A meno che non si voglia provare il gusto, un po’ artefatto, di una sua variante biellese o bolognese.