Bestseller: best reader?

Ammettiamolo, l’equivalenza primato di vendita = appiattimento sugli standard estetici di massa è in sé rassicurante. Però, volendosi accostare al fenomeno dei bestseller librari senza pregiudizi intellettualistici, la faccenda si fa più complessa: vero, i soli lettori forti non fanno la classifica; vero, se un libro soddisfa i gusti di miriadi di lettori occasionali forse siamo di fronte a un fenomeno di moda; vero, il consenso generale invoglia all’acquisto i fruitori meno avvertiti. Ma la curiosità diventa presto urgenza per tutti (lettori forti inclusi) quando si supera una certa soglia di diffusione: quanto si resiste a sentir parlare di «eleganti ricci» senza partecipare al gioco?
 
Fra i tanti anglismi che infestano la lingua italiana d’oggi, «bestseller» è tutto sommato uno dei più pacifici. Consolidato dall’uso comune, facile da pronunciare, da capire, da scrivere. Tutti sanno che si riferisce ai libri di successo, premiati da un numero eccezionalmente alto di copie vendute.
La medesima espressione può indicare anche l’autore che vende molto bene e che assicura buone probabilità di affermazione sul mercato, avendo già al suo attivo significativi successi di vendita. I nomi sono noti e non sono pochi: Grisham, Cornwell, Crichton, Dan Brown, Camilleri, Fred Vargas e così via. Apprezzati e ricercati in quanto capaci di garantire il successo di un titolo che deve ancora uscire: una possibilità di previsione rilevante per qualsiasi editore, con tutta evidenza.
«Bestseller» nel senso corrente è però soprattutto il singolo libro che viene a trovarsi, per periodi più o meno lunghi, al vertice delle classifiche di vendita. In cima alla «hit parade» dei «top ten», si potrebbe dire, volendo ulteriormente infierire sulla «lingua nostra».
Non c’è dubbio che la parolina forte, appagante la voglia di essere/apparire/comprare/consumare ecc. il «numero uno» (meglio ancora: il «number one»), sia quel «best»: il meglio, il migliore, il vincente. Viene insomma sottolineata la singolarità, il primato, l’eccellenza commerciale (e talvolta anche qualitativa), che ben presto diventa «fenomeno», specie quando il successo non era stato messo in conto, e invece i risultati di vendita superano ogni aspettativa, sorprendendo piacevolmente gli stessi artefici del libro: autore, editore ecc.
Quando la sorpresa è generale e le vendite particolarmente vistose, si parla anche di «caso»: letterario, di costume ecc. E interessante il doppio senso: il carattere esemplare del successo, che sarà poi ricordato e raccontato mille volte (case history) e insieme la sua casualità, l’imprevisto, la fortuna, l’imponderabile.
E consolante che nell’età dei new media e della comunicazione multimodale, lo strepitoso successo di un buon vecchio libro sia capace di fare notizia. Ripreso e amplificato da giornali e mezzi audiovisivi, è capace di fungere da potente attrattore, ben al di là della cerchia di chi legge e acquista libri con frequenza e regolarità.
A questo punto però conviene aprire una breve riflessione sul pubblico, potenziale e reale, del bestseller.
E pur vero che i casi più eclatanti di successo editoriale coinvolgono la totalità o quasi dei lettori, come per una sorta di contagio o di reazione a catena, ma è un fenomeno che non si dà di frequente. Di solito, i successi di vendita, anche clamorosi, interessano solo alcuni strati del lettorato e non altri.
Ci si può chiedere allora se alla base della grande diffusione di alcuni titoli, pescati nell’oceano dell’offerta libraria, ci sia sempre una stessa tipologia di lettori, relativamente stabile. Interrogativo che può anche prendere un’altra forma: se ci sono, e quali sono, categorie di lettori più sensibili di altre alla popolarità e al successo di vendita.
Da tempo è risaputo che in Italia si legge piuttosto poco e che il mercato librario è sostenuto da un numero relativamente limitato di acquirenti forti (circa un libro al mese, come minimo), stimabile intorno al milione e mezzo di persone, a essere generosi, con una predominanza e un peso via via crescente della componente femminile.
Le indagini in materia, commissionate da istituzioni educative, associazioni editoriali, editori singoli ecc. confermano da parecchi anni la scarsa confidenza con il libro (e con la parola scritta) di tantissimi connazionali: secondo una recente ricerca Mondadori/Ipsos il 62% della popolazione italiana adulta non avrebbe letto neppure un libro nell’ultimo anno. Committenti e curatori delle ricerche statistiche e sociologiche sulla diffusione, sull’acquisto e sul «consumo» di libri non possono fare altro che rinnovare, negli anni, gli ammonimenti, le deplorazioni, le constatazioni imbarazzanti di divario con altri paesi europei.
Qualche segno di vita, qualche scintilla d’interesse viene individuata di tanto in tanto nelle classi d’età più giovani (ma non proprio giovanissime) e con una buona scolarità. Pur senza intrattenere un rapporto costante e profondo con il libro, è questo un pubblico che legge in modo moderato ma non del tutto sporadico: qualche titolo nel corso dell’anno, meno di uno al mese. Lettori saltuari, tra cui si annida una parte cospicua dei «consumatori» di bestseller.
In effetti, anche senza il supporto di dati di ricerca indiscutibili, procedendo semplicemente a buon senso, si deve pensare che il pubblico dei lettori che decretano la grande popolarità di un certo libro, il suo emergere all’universale notorietà, la sua salienza rispetto alla molteplicità dei titoli che vedono la luce tutti i giorni, non si possa ridurre a quel milioncino e rotti di forti lettori che frequentano librerie e biblioteche, leggono i supplementi letterari, seguono le fiere e i festival, si muovono su una base ben strutturata di gusti e preferenze per autori, collane, generi e sottogeneri.
Considerando la quantità non poi così esigua di titoli che nel corso di un anno attingono il rango di bestseller, per poter spiegare certi volumi di vendita è comunque necessario chiamare in causa i lettori/acquirenti cosiddetti deboli (non più di cinque libri all’anno), o almeno i medi (da sei a dieci).
I lettori forti da soli non bastano a giustificare le tantissime copie vendute: i conti non tornerebbero.
In secondo luogo, com’è noto, i lettori più assidui, colti, evoluti non sempre vedono di buon occhio il bestseller. Spesso ne diffidano, lo trattano con sufficienza, lo usano come pretesto per manifestare un certo snobismo (a volte senza averne chiara coscienza) o per articolare meglio le proprie gerarchie di gusto e qualità letteraria.
Naturalmente non mancano gli esempi di libri di grande successo e insieme di eccellente qualità. Nessuno si sogna di negarlo, ma nello stesso tempo sembrano trattati come eccezioni a una regola che associa il primato di vendita agli standard estetici della massa. Come i film di cassetta (ma il discorso vale anche per le manifestazioni culturali più affollate e popolari: concerti, grandi mostre, festival ecc.), il libro che vende tanto è guardato con sospetto, se non con un pizzico d’invidia (a meno che l’autore non sia riconosciuto come una figura veramente superiore).
Se soddisfa il palato di miriadi e miriadi di lettori saltuari, necessariamente un po’ ingenui e di bocca buona, si tratterà di un’opera facile, volgare, corriva, soggetta ai vincoli del marketing e della moda, protesa a risultati di letterarietà superficiale, entro un habitat culturale di massa che premia il valore «percepito» e il consumo immediato più che i risultati estetici di sostanza e di lunga durata.
Quando poi dal libro si ricava un film, più o meno riuscito, cercando di spremere a dovere il soggetto e il successo, il processo di massificazione appare anche più evidente. Cambia, tra l’altro, l’identità stessa dell’oggetto «bestseller»: non più unitario, ma composito, scontornato, plurimo.
Un terzo motivo per individuare nel lettore medio-debole il principale beneficiario del bestseller ha a che fare con l’atteggiamento stesso di questo lettore verso la pratica della lettura e la spesa libraria.
Lasciando da parte gli acquisti di libri per studio, per lavoro o per ragioni pratiche contingenti (manuali, guide turistiche ecc.) – acquisti che pure entrano nelle statistiche e nelle categorizzazioni dei lettori – si deve constatare il carattere di eccezionalità della decisione di acquistare un libro per sé o per regalarlo a qualcuno.
Proprio perché le volte in cui si tira fuori il portafoglio per comprare un libro sono rare, è consigliabile non sbagliare. Per trarsi d’impaccio, in mancanza di punti di riferimento precisi e di una consuetudine apprezzabile con l’offerta libraria, è ragionevole affidarsi al generale consenso, alle vendite, al successo. E con il bestseller si va sul sicuro.
L’argomento del successo di vendita, d’altronde, è ampiamente utilizzato nella pubblicità libraria.
A parte le fascette che cingono orgogliosamente i bestseller sul punto vendita, mettendo in risalto il numero di edizioni o di copie vendute (e magari nascondendo il titolo), sono frequenti i casi di annunci stampa in cui l’immagine della copertina è accompagnata unicamente da proclami di vittoria – «180.000 copie vendute», «4a edizione in 3 settimane» ecc. – che soverchiano ogni altra considerazione di meriti, premi, contenuti.
Il lettore smorfioso potrà anche storcere il naso davanti a tanta agitazione mercantile e forse (anzi, quasi di sicuro) si sentirà poco incoraggiato a partecipare all’assembramento generale, preferendo lasciar passare un po’ di tempo prima di decidere. Tuttavia, il fatto che le case editrici persistano nell’utilizzare in pubblicità gli strilli sul successo di vendita ci dice pure qualcosa della loro efficacia sul lettore comune.
Due sono gli aspetti motivanti che si possono riconoscere nella comunicazione persuasiva basata sull’argomento del successo: il conformismo e il carattere di evento. Ambedue abbastanza distanti dal gusto e dalle logiche dei lettori più esigenti e maturi.
Ma il lettore saltuario, che nella Babele libraria si sente disorientato, non proprio a suo agio, trova un notevole vantaggio di rassicurazione nella scelta di un titolo che già gode di un ampio, inoppugnabile consenso.
«Se tanti lo hanno preso, una ragione ci sarà», «moltissimi lo hanno letto e apprezzato, perciò deve valere qualcosa», «forse non è un capolavoro, ma non può essere un cattivo libro.»
Miniragionamenti del genere riassumono il possibile approccio del lettore di bestseller al libro di successo e forse danno conto anche del pensiero, tra pratico e ingenuo, sotteso al passaparola che poi in concreto influenza in modo consistente la diffusione e il successo commerciale.
Non va trascurato però neppure il carattere di evento che il libro di successo assume in quanto tale. Tutti ne parlano: quindi viene voglia di saperne di più, ovvero di leggere quel libro, di sfogliarlo, comprarlo ecc.
Oppure (e forse più spesso) si mette in moto un processo reattivo – e anticipatorio – al senso di esclusione da un evento che ha assunto un valore di «necessità» in quanto ormai riguarda una gran folla di persone: quelli che contano, il proprio gruppo di riferimento, i telespettatori (se il libro e l’autore sono andati in tv) ecc.
Si riproduce in fondo il medesimo bisogno di presenziare e di non essere tagliati fuori che riguarda le dinamiche di adesione a tutti i principali fenomeni di moda e di successo popolare.
Qui forse i meno sussiegosi tra i lettori forti rientrano in gioco, assimilandosi ai medio-deboli.
In fondo, è una sofferenza per chiunque sentir parlare a ogni piè sospinto di eleganti ricci o di numeri primi soli soletti e non poter partecipare al gioco dei consigli reciproci e degli scambi d’opinioni.
Bisogna notare, a questo proposito, che il sentore letterario, il fascino effettivo o la semplice scaltrezza di un titolo, che si tratti di una suite francese o di un caos calmo, aiutano non poco la dinamica della curiosità, che presto diventa urgenza, quando si supera una certa soglia di presenza conversazionale, ovvero di diffusione.
A un certo punto insomma non si resiste più (ammesso che all’uscita di quel dato titolo si nutrisse qualche dubbio): occorre proprio presenziare alla festa, non rimanere ai suoi margini, e allora ci si aggrega, quasi sempre con soddisfazione.
Soddisfazione dichiarata, quanto meno: non sempre fa piacere ammettere di aver preso una cantonata, o di avere avuto un eccesso ingiustificato di aspettative, col rischio di esporsi ai sospetti di gusto un po’ facile e di essere impallinati dagli amici ipercritici che sempre si annidano nella propria cerchia.