«C’è sempre bisogno di fiuto.» Intervista a Elisabetta Sgarbi

In accorto equilibrio fra tradizione e innovazione, la casa editrice Bompiani (fondata a Milano da Valentino Bompiani nel 1929) ha mantenuto la sua vocazione originaria alla pubblicazione di opere che sappiano coniugare qualità e leggibilità. Parliamo del presente e del futuro della casa editrice con l’attuale direttore editoriale, Elisabetta Sgarbi, che sottolinea, all’interno dei piani di lavoro, l’attenzione alle letterature «altre».
 
Elisabetta Sgarbi è uno dei personaggi più vivaci, poliedrici e multiformi dell’editoria italiana. Non è solo direttore editoriale della Bompiani, ma anche curatrice di diverse importanti edizioni di testi di scrittori italiani: tra gli altri, ha infatti allestito (insieme a Vanni Scheiwiller) la pubblicazione del Frasario essenziale per passare inosservati in società di Ennio Flaiano, degli Scritti dispersi di Alberto Savinio, dell’opera omnia (nei «Classici») di Carmelo Bene.
Nel 1999 ha poi esordito come regista, privilegiando fin da subito l’analisi e l’interpretazione delle opere d’arte, con corto- e mediometraggi su Gianfranco Ferroni e Antonio Stagnoli (entrambi selezionati alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia), per poi approdare al lungometraggio con Notte senza fine. Amore tradimento incesto, ispirato a testi di Amin Maalouf, Tahar Ben Jelloun e Hanif Kureishi, presentato al Torino Film Festival. Sono seguiti film sul Palladio, sulla città natale dello scrittore Diego Marani, Tresigallo, e ultimamente una serie di lavori realizzati in parallelo alla pubblicazione di testi di Giovanni Reale su Matthias Grunewald e Sandro Botticelli. Tra le opere più recenti, un film sui «compianti» di terracotta dell’Emilia Romagna, Il pianto della statua, presentato al Festival del Film di Locarno, primo episodio di una trilogia sulla scultura sacra, cui è seguito Non chiederci la parola, dedicato alle cappelle del Sacro Monte di Varallo. Da nove anni, inoltre, Elisabetta Sgarbi dirige «La Milanesiana. Letteratura, Musica, Cinema», che ha anche ideato, una delle manifestazioni artistiche più vivaci.
 
Elisabetta Sgarbi, da quanti anni lavora nell’editoria? Come è approdata a questo lavoro?
Sono circa diciotto anni che lavoro in questo settore. Ho cominciato all’ufficio stampa, una palestra di vita editoriale, e poi, a poco a poco, c’è stata una crescita, parallela alla passione per i libri, che comunque è per me un dato originario. Una bella avventura, con tante tappe, come in una corsa ciclistica. Chi pedala di più, alla fine vince.
 
Qual è il suo ruolo oggi in Bompiani? In cosa consiste?
Sono il direttore editoriale della casa editrice. Un lavoro complesso, che presuppone la preparazione del programma editoriale anno per anno, tenendo presente la qualità dei libri proposti ma anche i risultati commerciali: il rapporto costante e continuato con gli autori, con il marketing (allo scopo di pianificare strategie promozionali e di vendita), con l’ufficio stampa, con la rete commerciale della Bompiani. Continuo a pensare, nel tempo, che il legame personale, fiduciario che si stabilisce in questo lavoro con gli autori sia la fonte di ogni crescita, conoscitiva e di «gusto». E ciò che una volta, lapidariamente ma in modo molto incisivo, si definiva «fiuto». Ce n’è sempre bisogno, ora più che mai, in un’epoca che tende invece, per sua natura, a una certa spersonalizzazione burocratica e consumistica.
 
Quali sono le linee principali su cui intende svilupparsi e su cui punta la casa editrice?
La Bompiani ha fin dalle sue origini una vocazione spiccatamente internazionale. Si è sempre cercato di far sentire le voci delle letterature «altre» rispetto al canone occidentale, ed è per questo che negli ultimi tempi ci siamo concentrati sul meglio disponibile nei vari contesti, pubblicando opere, per esempio, del nigeriano Biyi Bandele, del marocchino Abdallah Hammoudi, del turco Ahmet Altan, del libanese Rabih Alameddine, dell’anglo-pakistano Mohammed Hanif, ma senza dimenticare le letterature interne all’Europa. Di qui la proposta del grande scrittore sloveno Drago Jancar, il cui romanzo Aurora boreale è stato giustamente celebrato da Claudio Magris per le sue implicazioni quasi kafkiane. Prosegue poi la pubblicazione delle opere di autori Bompiani già consolidati come Tahar Ben Jelloun, Amin Maalouf, Hanif Kureishi, Paulo Coelho.
 
Quali sono gli elementi di continuità tra la storica casa editrice di Valentino Bompiani e quella di oggi? In altre parole, in cosa consiste il «marchio di fabbrica» dei libri Bompiani, ciò che il fondatore riconoscerebbe ancora oggi?
Valentino Bompiani ha avuto l’eccezionale merito di combattere su due fronti: la narrativa italiana e quella straniera, senza pregiudizi, ma con un entusiasmo che gli ha permesso di presentare ai lettori l’aristocrazia letteraria del suo tempo: Moravia, Alvaro, Brancati, Savinio, Flaiano, Pirandello, Sciascia, Marotta, Piovene, Gadda, Bufalino e, per gli stranieri, Eliot, Steinbeck, Gide, Caldwell, Cronin, Conrad, Camus, Yourcenar, Sartre, Waugh. La Bompiani ha sempre inteso rilanciare questo cammino ideale, ma conservando il senso della tradizione. Valga in questo senso ricordare l’impresa titanica con cui ci siamo assunti il compito di riproporre all’attenzione del pubblico l’opera omnia di Alberto Moravia, in ordine cronologico e secondo rigorosissimi criteri filologici. Per non parlare degli inediti, fra cui il romanzo I due amici, che ha fatto e farà ancora parlare di sé.
 
Quali sono invece i principali mutamenti che Bompiani ha attraversato in questi ultimi anni?
Come è evidente, anche la Bompiani si è inserita nel progetto globale di una letteratura aperta al grande pubblico (e quindi ai «grandi numeri»), il che non significa deprezzare la qualità, come alcuni sostengono, ma, anzi, serbarsi fedeli a una nozione di «popolarità» del discorso letterario che è anche l’unico modo, io credo, per non fare dell’arte della narrazione un privilegio di pochi ma, invece, un’occasione reale di conoscenza e intrattenimento intelligente. Si pensi, per esempio, alla nuova edizione, interamente ripensata e rifatta, dello storico Dizionario Bompiani degli autori e del Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi’, uno strumento che guarda sia alla tradizione di cui dicevo, sia alle nuove esigenze di chiarezza e «leggibilità» che la gente vuole che si rispettino, e a ragione.
 
Lei è un’intellettuale versatile (con interessi nell’ambito della letteratura, delle arti figurative, del cinema). Quanto conta la curiosità intellettuale di chi dirige una buona casa editrice per fare buoni libri? In che modo si legano i suoi interessi culturali al lavoro di editore?
Il «fiuto» di cui facevo cenno poc’anzi è appunto la realtà immediata della curiosità intellettuale. Se non ci fosse questa, saremmo davvero (per parafrasare un famoso titolo di Alberto Arbasino) un’«editoria senza». Quanto a me, nello specifico, ho cercato di dare voce ai miei «fantasmi» ideali, ai miei sogni a occhi aperti, occupandomi, in simultanea, di editoria e di cinema. Non sono cose distinte, ma parti di una stessa tensione, di una medesima ansia di sapere e di sapere meglio. Alla radice di tutto vi è un legame profondo tra parola e immagine che cerco di individuare sia nei libri degli autori che scelgo, sia nei film che realizzo, per offrire nuove possibilità di «leggere» i capolavori dell’arte presente e passata, oltre che della letteratura. Un lavoro sulle due sponde di un fiume infinito.
 
Tre autori che è fiera di avere pubblicato?
Non voglio parlare degli italiani. Tra gli stranieri naturalmente Paulo Coelho, Michael Cunningham e Hanif Kureishi. Ma se posso aggiungerne un quarto, citerei anche Michel Houellebecq. E poi non posso dimenticare la rivista «Panta», fondata con Alain Elkann, Pier Vittorio Tondelli ed Elisabetta Rasy.
 
Invece tre autori pubblicati da altri, che le piacerebbe fossero nel catalogo Bompiani?
Richard Ford, Abraham Yehoshua e Michel Faber.
 
Che tipo di libri le piacerebbe pubblicare in futuro?
Libri che possano riflettere sempre più il senso della nostra epoca, e mostrarne il bene e il male in punta di penna, con una «leggerezza» alla Ophuls. Anche quando il male tende a sovrastare il bene e non si scorgono vie d’uscita.