Nostro canone quotidiano

In nessun manuale giornalistico, in nessun corso per aspiranti giornalisti viene illustrata la filosofia e la pratica del «canone», genere principe per molti quotidiani. Si tenterà, dunque, di offrire qui, a uso di tutti gli interessati, un’inedita tassonomia del canone letterario.
 
È curioso come uno dei generi giornalistici più usati e abusati sfugga a qualsiasi classificazione. Basta aprire un qualunque manuale di giornalismo per incontrare la puntuale spiegazione di cosa siano (parliamo delle pagine culturali) un elzeviro o una recensione, come si scriva un’intervista e in che modo vada redatta una scheda informativa: ma in nessuno di questi testi, nel programma di nessun corso viene mai spiegata la filosofia e pratica del «canone». Strana mancanza, visto che il canone è, per alcuni giornali almeno, il genere giornalistico principe, la «chicca suprema», il «grande ingolositore» per capiservizio e intervistatori, editorialisti ed elzeviristi, il «riempitivo massimo» per pagine e colonne in carenza di idee, insieme alla «polemica surrettizia» e alla «anticipazione in esclusiva».
Nostra ambizione sarà quindi offrire una prima, ancora parziale ma lodevolmente inedita tassonomia del canone letterario a uso di giornalisti e opinionisti letterari.
Con «canone», e citiamo il Devoto-Oli, si intende in questo caso: «Catalogo di opere, di autori proposti come norma al comporre in prosa e in verso (per esempio quello compilato dai grammatici alessandrini). Il complesso dei libri sacri riconosciuti dalla Chiesa come fonte della rivelazione divina. L’elenco ufficiale di quanti la Chiesa ha santificato». Si capisce subito come in ambito letterario, per traslato, il termine canone abbia assunto il significato di elenco dei libri più significativi di un’epoca, di una cultura o, in termini assoluti, dell’intera produzione letteraria dell’umanità.
In ambito giornalistico, infine, il principio del canone si è trasformato in una versione più paludata e decente del famoso «gioco della torre» (al negativo: dovendo salvare un corpus ristretto di titoli, chi butti dalla torre e chi salvi?) o dell’ «isola deserta» (al positivo: dovendo sopravvivere come un novello Robinson Crusoe della letteratura chi ti porti dietro, dato un numero chiuso di titoli?).
I canoni possono presentarsi sulle pagine di un quotidiano o settimanale sotto diverse vesti.
1. Possono essere evocati direttamente, ponendo a uno o più opinion leader la fatidica domanda e aspettando (o sollecitando) le risposte di altri opinion leader. Questa modalità viene esperita di norma in occasione di cambi di decennio, di secolo o di millennio in qualità di «grande tiro di somme epocale», oppure in occasioni più prosaiche come l’apertura del «vivace dibattito sulle letture scolastiche o giovanili e formative».
O in occasione di qualche «grave polemica sulla sopravvivenza dei classici» (perché non li legge più nessuno? Quali tra essi sono ancora proponibili come irrinunciabile bagaglio dell’uomo colto al passo con i tempi ma consapevole della propria tradizione culturale?).
2. Possono essere invece suscitati per via indiretta da opere e occasioni che di per sé si pongono come «canoni intrinseci». Le occasioni possono essere classicamente:
a) Una nuova opera di consultazione o una nuova storia della letteratura. In questo caso la «virulenta polemica» può riguardare:
– Inclusioni o esclusioni di autori e opere (succede per esempio con gli autori contemporanei, specie italiani e viventi, a ogni nuova edizione della Garzantina di Letteratura). Il reference in questione diventa un canone tendenzialmente onnicomprensivo che certifica lo statuto di esistenza di un autore o lo relega in un limbo senza rimedio, con prevedibili conseguenze per gli esclusi: quali cambio di editore, rottura di vecchie amicizie con alcuni inclusi, caduta della libido. – TI peso, in termini di righe, concesso a un autore, una volta accolto nell’opera. Utile soprattutto per verificare le fortune critiche di minori d’ogni tempo: le voci dedicate al Bandella o a Faidella cresceranno o si contrarranno a seconda del momento critico.
Queste alterne fortune sono ovviamente pane per i recensori, che, dopo avere duramente criticato o blandamente elogiato le scelte fatte dai curatori dell’opera in questione, proporranno un controcanone a detta loro più rispettoso delle gerarchie di valore, provocando a loro volta una eccitante ricaduta di dibattito (risposte piccate dei curatori medesimi o ulteriori contributi alla discussione).
b) La definizione di un proprio canone da parte di un «illustre addetto ai lavori». Esemplare il caso del vespaio giornalistico suscitato da Cesare Segre sulle pagine del «Corriere della Sera». Fornito dall’intervistato un proprio, personalissimo elenco di testi immortali, quasi nessun critico letterario, accademico o militante, ha rinunciato al piacere-dovere di fornire nei giorni e settimane seguenti il proprio elenco di letture immancabili e fondative.
Giunto all’apogeo delle sue fortune, il canone letterario­giornalistico domina incontrastato le pagine dei quotidiani, ma dietro l’angolo si staglia la triste eventualità di una sua rapida decadenza.
I problemi sono presto detti: un canone rigoroso rischia l’ovvietà: dovendo enumerare le dieci opere fondamentali della letteratura italiana si può ragionevolmente giocare su un insieme di titoli giocoforza ristretto (chi lascerebbe fuori Alighieri Dante, Petrarca Francesco, Boccaccio Giovanni o Leopardi Giacomo?). In caso contrario (ossia un’elencazione del tutto eterodossa) non si sfuggirebbe al sospetto di intenzionale pretestuosità.
Possiamo certo discutere se inserire o meno figure come Carducci o D’Annunzio nel nostro canone, ma rinunciare ai cinque o sei giganti obbligatori per inserire l’abate Zanella o il Burchiello saprebbe troppo di «indifendibile trovata».
Unica soluzione per la sopravvivenza del genere sarà allora, da un lato la sua specializzazione: i cento migliori fumetti, i dieci irrinunciabili hard boiled, le diciotto raccolte di sestine da non perdersi; dall’altro la sua personalizzazione (strada sulla quale, in effetti, le testate più accorte hanno già iniziato a inoltrarsi). Sapere quali sono i «libri dell’anima» delle diverse firme potrebbe farci scoprire opere non per forza accademicamente ovvie e, nel caso di elencazione onesta e senza filtri o pruderie, mettere in luce le strutture profonde della formazione letteraria, le motivazioni più abissali della posizione teorica del proponente, senza che per questo venga meno la chiamata alla discussione e all’elaborazione del «controcanone» per gli altri illustri opinionisti.